la Repubblica, 10 novembre 2022
La destra celebra la caduta del Muro
Silvio Berlusconi l’aveva istituita nell’aprile 2005: la Giornata della libertà contro i totalitarismi, che per lui coincidevano con quello comunista. Da celebrare ogni 9 novembre, nell’anniversario della caduta del muro di Berlino. Solo che la legge è rimasta sempre confinata in qualche cassetto del berlusconismo finché ieri Giorgia Meloni non l’ha rispolverata. E così gli italiani si sono svegliati con un doppio messaggio. Un video della premier, e una lettera del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, pubblicata da Repubblica.
Il comunismo, ha scritto quest’ultimo alle scuole, «da grande utopia si è convertita in un incubo». Chi non fu felice per la caduta del Muro? Meloni ha ricordato nel suo cinegiornale che l’evento segna «il tramonto del comunismo sovietico». Al che sono partite le fanfare sovraniste per prendersela con quel che resta della sinistra nell’Italia di oggi. È troppo facile immaginare che questa enfasi è figlia di un revanscismo per le accuse di residuo fascista piovute nei mesi scorsi?
È quindi in corso una riscrittura del calendario delle feste nazionali. Aveva cominciato Ignazio La Russa nelsuo discorso d’insediamento da presidente del Senato, quando aveva suggerito di festeggiare il 17 marzo, giorno della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. Era un modo per aggiungere un tassello identitario alle feste fondanti del 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno. Successivamente, in un’intervista aLa Stampa, La Russa aveva annunciato che non avrebbe partecipato ai cortei della festa della Liberazione, perché «appannaggio di una certa sinistra». Meloni non menziona la Resistenza. Tace sulla marcia su Roma. Dice nazione, non Paese. Prova a riscrivere il Pantheon della destra, inserendovi dentro Croce, Jan Palach, Giovanni Paolo II, citati in ogni discorso.
L’Anpi le ha ricordato che il 9 novembre è anche la giornata mondiale contro il fascismo e l’antisemitismo proclamata dalle Nazioni Unite, la notte dei cristalli dell’infamia nazista; la ricorrenza viene rammentata anche in un articolo che si può leggere sul sito del Dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del Consiglio. Questa dimenticanza, da parte del governo, autorizza il sospetto che la politica usi la storia come un elastico.
Il neoministro alla Cultura, Gennaro Sangiuliano, nei giorni scorsi ha rilasciato interviste ai giornali vicini alla destra in cui promette fiction su Indro Montanelli e Oriana Fallaci (ma esiste già), denunciando il conformismo della cultura mainstreamnazionale orientata a sinistra. Par di capire che d’ora in poi la musica cambierà. Ma da quando in qua le egemonie culturali si stabiliscono per decreto?
Nel 2003 Luciano Lanna scrisse un libro Fascisti immaginari, (Vallecchi), in cui radiografò con passione i capisaldi del pensiero di destra, giungendo alla conclusione che nella cultura del reale, quella popolare di tutti i giorni, le tracce conservatrici erano più significative di quelle progressiste. E citava Alberto Sordi e Tex Willer, Giuseppe Berto e Carmelo Bene. Dice oggi Lanna: «Walter Veltroni mi diede ragione. Giuliano Ferrara suggerì a Fini di adottarlo. Ne sono convinto anche oggi: il potere culturale, dalle case editrici alle cattedre universitarie, è di sinistra, ma non è così nella società. E quindi la destra oggi non dovrebbe fare nessuna politica reattiva, dismettendo i panni del complesso di inferiorità». Di recente Meloni ha citato il libro di Lanna in un’intervista, e l’autore, che tra il 2006 e il 2011, diresse brillantemente Il Secolo, approva la Giornata della libertà, «perché non rappresenta soltanto la caduta del comunismo, ma la fine del mondo bipolare. E perché non dovrebbe andare bene il 17 marzo come festa nazionale?».
Ieri, a chiudere il cerchio, il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli a Montecitorio ha fatto la battaglia contro ildispenser. «Va chiamato dispensatore», ha detto. «Qui si parla italiano».