Corriere della Sera, 10 novembre 2022
Sabrina Impacciatore negli Usa
Quando le è arrivata la chiamata per il provino della seconda stagione The White Lotus, Sabrina Impacciatore ha detto al suo agente che non poteva farlo. Non sapeva che quella era la serie di Hbo (in Italia disponibile su Sky e Now) che aveva conquistato mezzo mondo e dieci Emmy grazie a un linguaggio nuovo, capace di intrecciare i generi come mai prima. «Ero impegnata sul set – spiega l’attrice dall’America —. Ma al mio no, mi è stato chiesto di guardare la prima stagione: sono rimasta folgorata. È una satira feroce della società, ma c’è anche il dramma, il thriller, tutto». The White Lotus è il nome di una catena di alberghi di lusso e la serie racconta le vite dei ricchi ospiti del resort e quelle di chi ci lavora. Nella seconda stagione ci si sposta in Sicilia e Impacciatore – scoperta da Boncompagni, consacrata da Non è la Rai per poi spostarsi sul cinema – è la manager dell’hotel.
È un ruolo che può cambiare una carriera, non crede?
«Onestamente sì. Quando l’ho realizzato, quella notte, mi sono detta: deve essere mio, ora o mai più. Dovevo registrare un video in cui simulavo delle scene e mi sono trovata nelle condizioni peggiori per farlo, tanto che ho chiamato anche mio fratello, che non è un attore, per darmi una mano. Dopo 130 ciak, ho mandato il selftape. Due giorni dopo la telefonata: Mike White (sceneggiatore, regista e produttore della serie) ti vuole incontrare».
Che effetto le ha fatto?
«Come una fiaba. Arrivare a questo ruolo così è stato magico, mi sono detta: quindi la meritocrazia davvero esiste? Non è polemica, ma è tutta la mia vita che sto nel mio corpo, so la fatica che si fa e l’impegno che ci metto. Mi rendo conto che sto entrando a Hollywood dalla porta principale. In America The White Lotus è un fenomeno di costume, la gente è impazzita. So che questa cosa può cambiare il mio percorso. Allo stesso tempo voglio rimanere con i piedi per terra. Per dire, ancora non ho avuto il coraggio di vedere gli episodi finiti. Il corrispettivo del mio ruolo nella prima serie era potentissimo, interpretato da Murray Bartlett».
Sente il peso del paragone?
«Per un primo mese non ho dormito all’idea. Poi ho messo tutta l’ansia dentro la mia Valentina. Mike mi voleva ai limiti dello scostante dopo una vacanza in Europa in cui era rimasto sbalordito per come lo trattassero male».
Non rende l’idea dell’ospitalità italiana...
«Non era successo in Italia. Ad ogni modo ci ho pensato anch’io e mi son detta: non stai rappresentando l’Italia».
La serie è un ritratto non tenero della società.
«Ci sono tutte le maschere che indossiamo, vengono rivelate le miserie umane anche se credo che Mike provi un particolare gusto a smascherare le debolezze di chi può avere tutto: essendo l’ambiente che frequenta ha un occhio clinico, probabilmente prende in giro anche sé stesso. Però non giudica, si diverte».
È il suo sogno americano che si realizza?
«Sì, è il coronamento di un’esistenza di investimento. I miei genitori mi hanno visto studiare come una pazza per tutta la vita (si commuove, ndr.)... Ho perso mio papà Enea a novembre: la gioia che è arrivata con questo ruolo ha aiutato me e mia madre nel momento del nostro massimo dolore. Ho una chat di famiglia in cui ci sono anche le mie due zie, altre due mamme. Da Los Angeles aggiorno tutti su cosa mi succede: è come se fossero con me».
Ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti?
«È la classica cosa che capita una volta nella vita, quindi ho deciso di rimanere qui. La California mi ha salvato già una volta: da ragazza dopo un lutto mi volevo uccidere, ero disperata. I miei genitori avevano deciso così di rischiare e mandarmi qui, a studiare, per cambiare aria nonostante fossi in pieno esaurimento nervoso. In California mi sono riaffacciata alla vita».
Anche adesso, lì può iniziare un nuovo capitolo.
«Sono come Alice nel Paese delle meraviglie ma mi ripeto che non mi devo illudere. Qui però si respira il sogno, da noi siamo abituati a respirare la rassegnazione».
Muccino, regista con cui ha lavorato, non ha un bel ricordo dei suoi anni americani...
«Per me Gabriele è un riferimento. È stato tra i primi che ho chiamato quando sono stata scelta e lui tra i più felici per me. È un animo puro e con tutta la pressione che ha avuto è facile soffrire. Io sono come lui: sento le emozioni in modo potente, però ho scelto di vivere il mio sogno americano e il sogno qui è un progetto vero e proprio».