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 2022  novembre 10 Giovedì calendario

Nel computer di Genovese file pedopornografici

Una nuova pesantissima tegola giudiziaria precipita sulla testa di Alberto Genovese dopo la condanna a 8 anni e 4 mesi di carcere di meno di due mesi fa per gli stupri a Terrazza Sentimento e a Villa Lolita: la Procura di Milano accusa l’ex imprenditore di altre violenze sessuali (e di una tentata) dopo aver drogato le vittime, del tentativo di comprare il silenzio della ragazza che lo avrebbe fatto finire in carcere e di un’agghiacciante galleria di orrori pedopornografici trovati nel suo pc.
Le nuove ipotesi d’accusa emergono dalle ultime indagini appena chiuse dal procuratore aggiunto Letizia Mannella, che guida il dipartimento soggetti deboli, e dai sostituti Rosaria Stagnaro e Paolo Filippini. Una doccia fredda, ma non del tutto inaspettata per l’ex re delle startup che sta disintossicandosi dalla droga ai domiciliari in una casa di cura. I pm, infatti, lo avevano portato a processo solo per la violenza alla modella di 18 anni fuggita a ottobre 2021 da Terrazza Sentimento in pieno centro a Milano, e per quella sulla 23enne abusata a Villa Lolita di Ibiza nell’estate precedente. Dalle lunghe e certosine investigazioni della squadra mobile della Polizia erano però emersi altri stupri, di cui c’è ampia traccia negli atti del processo, ma gli investigatori avevano deciso di concentrarsi nella prima fase solo su quelli per i quali allora ritenevano di avere gli elementi più concreti.
Un capo d’accusa riguarda le violenze denunciate da una modella pugliese, oggi 22enne, che ha avuto una relazione con Genovese. In base al suo racconto e a quello di una sua amica (entrambe rivelarono la loro identità a «Non è l’Arena» su La7) i pm avevano chiesto un nuovo arresto di Genovese che, però, a febbraio 2021 era stato rigettato dal gip Tommaso Perna per insufficienza di indizi. Ora l’accusa imputa all’ex imprenditore formalmente le violenze alla sola 23enne, una avvenuta tra il 6 e l’8 ottobre 2020 a Terrazza Sentimento, due giorni prima di quella alla 18enne che lo avrebbe portato a San Vittore. Episodi documentati dalle foto scrupolosamente conservate nei dispositivi elettronici di Genovese. Ad uno, nel maggio 2020, avrebbe partecipato anche l’allora fidanzata dell’uomo, Sarah Borruso, che il 19 settembre è stata condannata in concorso con lui a due anni 5 mesi per la violenza di Ibiza. «Mi sono risvegliata durante il rapporto, improvvisamente, ero lucida, eravamo tutti e tre nudi sul letto», «ho detto ad Alberto che doveva smettere, ma è andato avanti per circa due minuti», ha dichiarato a verbale la presunta vittima.
I due il 25 febbraio 2020 – accusano i pm nell’avviso di conclusione delle indagini notificato agli indagati – avrebbero anche tentato di violentare una 28enne lombarda che nove mesi dopo alla Polizia ha dichiarato che era andata nell’attico con un’amica per una delle famose feste a base di alcol e droga servita nei piatti e di essere stata attirata in camera da letto da Borruso per sniffare coca, ma era una droga diversa che le annebbiava i sensi mentre entrava Genovese. «Pensavo di morire», ha detto, raccontando di aver trovato la forza per andare in bagno e fare una doccia: «Ho iniziato a piangere dicendo ad entrambi che volevo andare via». Ricordava confusamente l’uomo che tentava di farle prendere altra droga e che, quando lei non era riuscita a fuggire perché la porta era chiusa, lui aveva «alzato il tono della voce quasi ad incazzarsi dicendo che stavo rovinando il mood della serata». Lei, «quasi mortificata», «in preda al panico» non sapeva «come sopravvivere». «Mi ha portata fuori dalla camera e si è avvicinato a me dicendomi di non essere più una persona gradita nella sua casa e che in quel momento dovevo andarmene via». Così si era precipitata a fare.
La droga mette nei guai Daniele Leali, amico e factotum di Genovese, che per conto dell’imprenditore, scrivono i pm, mediava con spacciatori acquistando le sostanze che poi distribuiva nei vassoi. Sarebbe stato Leali, pochi giorni prima dell’arresto dell’imprenditore, a tentare di comprare il silenzio della vittima di 18 anni offrendole 8.000 euro, regali e viaggi se avesse ritrattato le accuse minacciandola che se si fosse accanita contro il «potente», questi si sarebbe «accanito» contro di lei. Per questo è accusato di intralcio alla giustizia con Genovese. L’ultima, se mai fosse possibile, ancor più odiosa accusa è la detenzione di materiale pedopornografico per una dozzina di file trovati nel pc dell’imprenditore. In uno, denominato «La Bibbia 3.0», la Polizia postale ha identificato 62 minorenni nudi o in «atteggiamenti sessuali espliciti». Molti di altri 11 file consultati pochi giorni prima dell’arresto hanno la sigla «8 yo» e «10 yo», dove «yo», per l’accusa, indicherebbe l’età (in inglese years old). Interrogato a un anno dall’arresto, Genovese ammise che prediligeva le ragazze molto giovani, magre e pronte a drogarsi. In una chat aveva scritto: «Io sono un porco pedofilo», «ho un range 16/20», «nel 2018 ho fatto tre sedicenni». Al processo i pm parlarono di un «quadro di devastazione umana».