Corriere della Sera, 10 novembre 2022
Ron DeSantis, l’ex delfino che sfida Trump
Nella notte in cui non si materializza l’attesa «onda rossa» e i repubblicani faticano a recuperare il controllo della Camera mentre il Senato rimane un punto interrogativo, a destra brillano le stelle dei tre grandi governatori del Sud: Greg Abbott e Brian Kemp che in Texas e in Georgia battono nettamente due personaggi, Beto O’Rourke e Stacey Abrams, fin qui considerati grandi speranze del partito democratico, e Ron DeSantis che in Florida stacca di quasi 20 punti l’ex governatore Charlie Crist, vincendo anche a Miami e in altre città fin qui feudo della sinistra.
Buone notizie per i repubblicani ma non per Donald Trump: tutti e tre i governatori – amministratori capaci, pragmatici, con spalle politiche larghe, allineati all’ex presidente ma non succubi – sono suoi potenziali successori alla Casa Bianca in un partito che, a differenza di quello democratico, ha diversi potenziali leader di alto livello.
In prima linea – e quindi, ovviamente, nel mirino di The Donald – il 44enne DeSantis: il più giovane e dinamico, e, secondo i sondaggi, il più apprezzato da molti conservatori che vedono in lui il miglior interprete del cosiddetto «trumpismo senza Trump»: stesse idee radicali, stesse battaglie culturali a difesa dei valori tradizionali dell’America bianca, ma senza il narcisismo, il disprezzo per le leggi e le istituzioni repubblicane di un leader vendicativo che fonda il suo potere sulla paura e che continua a fare politica guardando al passato: cerca rivincite anziché costruire in modo concreto il futuro.
Di origini italiane – i bisnonni arrivarono negli Stati Uniti dalle province di L’Aquila, Avellino, Benevento e Campobasso – cattolico, Ron, dopo aver studiato nelle più prestigiose università americane, Harvard e Yale, e dopo qualche anno trascorso in Marina e un’esperienza di docente universitario, dieci anni fa è entrato in politica.
Governatore dal 2018 grazie all’aiuto che gli diede l’allora presidente Trump, DeSantis è stato a lungo considerato il suo allievo più promettente, il suo «delfino». I guai sono cominciati quando il primo della classe è diventato l’allievo che supera il maestro.
Duro ma sempre «sul pezzo», con in testa idee molto precise – e ultraconservatrici – di come trattare i temi razziali, l’istruzione, l’identità di genere e l’immigrazione, il governatore è diventato il beniamino dei repubblicani che vogliono fermare una sinistra considerata troppo radicale e della quale temono, prima ancora dei piani economici, il multiculturalismo e lo scarso impegno contro il crimine e a difesa della famiglia.
Come gli altri due governatori, DeSantis è molto cresciuto politicamente durante la pandemia: le attività economiche e le scuole in Florida hanno riaperto prima che in altri Stati, cosa moto apprezzata dai cittadini.
Il governatore ha, poi, fatto approvare una legge che limita l’insegnamento di temi legati alla razza negli istituti e un altro provvedimento, soprannominato «Don’t say gay», che rende illegale, per gli insegnanti, parlare di orientamenti sessuali e di identità di genere nelle scuole elementari e medie: provvedimenti criticatissimi dai progressisti in ogni parte d’America, ma graditi al suo elettorato in Florida.
Trump, che fino a ieri lo trattava da ragazzo promettente, ambizioso, ma non in grado di batterlo, adesso lo teme e lo minaccia facendogli capire, con la sua solita scorrettezza e brutalità, di avere in mano materiale per ricattarlo. Sanguinose battaglie politiche in vista? Di certo l’undicesimo comandamento di Ronald Reagan – mai attaccare un altro repubblicano – è ormai roba da museo.