La Stampa, 9 novembre 2022
Mai così tanti eventi climatici estremi
Da questa parte del mondo, in questo novembre insolitamente caldo e secco, un grado in più o in meno non fa poi tutta questa differenza. Siamo schiavi dal qui e ora, e tanto basta. Ma per qualcuno, il surriscaldamento del Pianeta definisce la differenza tra l’esistere e lo scomparire per sempre dalla faccia della Terra. E non parliamo delle generazioni future, che avrebbero comunque il diritto di esistere.
Le città costiere e le piccole isole del Pianeta sono devastate dalle inondazioni, il Sud-Est asiatico è piegato da eventi climatici estremi sempre più frequenti, gli Stati africani subiscono siccità e carestie come mai prima d’ora. E anche Stati Uniti ed Europa hanno poco da stare tranquilli. Se per magia smettessimo in questo momento di produrre emissioni l’aumento del livello dei mari sarebbe un disastro per 385 milioni di persone. Persone sommerse, o costrette alla fuga. Intere città, villaggi, comunità spazzate via dall’acqua. E l’orizzonte temporale è quello dell’ora, non del poi.
Le isole Fiji, ad esempio, sono la fotografia di quello che sta succedendo e di quello che succederà presto. Da anni politici e scienziati mondiali avvertono della prospettiva della migrazione climatica, qui alle Fijii, e in gran parte del Pacifico, questa migrazione è già iniziata. La domanda non è più se le comunità saranno costrette a trasferirsi, ma il come farlo. Attualmente sono 42 i villaggi dell’arcipelago che dovranno essere «trasferiti» nei prossimi 5-10 anni a causa dell’impatto della crisi climatica. Sei sono già stati spostati e a ogni disastro altri villaggi vengano aggiunti all’elenco. Il primo insediamento a essere stato spostato sulle alture è Vunidogoloa, un villaggio di 150 anime che ora pare un set di un film catastrofista: le fondamenta delle case affiorano dal mare, resti di strade, camere ancora ammobiliate, tombe e lapidi semi sommerse, un salotto incrostato di fango. Il vento sibila attraverso le porte aperte e le persiane rotte, i tetti stanno cadendo, tutto è ricoperto di vegetazione. Non è facile spostare un paese, per quanto piccolo. Oltre alle case bisogna traslocare, o ricostruire scuole, ospedali, strade, e portare elettricità, acqua, infrastrutture, la chiesa del villaggio. Se si pensa che il 65% della popolazione delle Fiji vive entro 5 chilometri dalla costa si comprende quanto la situazione sia grave.
Sono anni che i leader e gli attivisti delle piccole nazioni insulari del Pianeta urlano la loro paura, ma evidentemente la loro voce arriva da troppo lontano. Per loro, l’obiettivo del contenimento della temperatura terrestre entro 1,5° sarebbe già un obiettivo al ribasso e, ancora una volta, l’orizzonte temporale fissato dai leader globali è troppo lontano. Diversi studi prevedono che molte isole potrebbero essere inabitabili già entro il 2050 se non verranno apportati seri cambiamenti per rallentare l’innalzamento del livello del mare. Verranno colpiti Paesi come Haiti, Fiji e Filippine, Maldive, che ha l’80% delle sue isole coralline a 30 centimetri sul livello del mare, il che la rende incredibilmente suscettibile anche al minimo aumento delle temperature. «Paghiamo con la nostra vita il carbonio emesso da qualcun altro», ha detto Mohamed Nasheed, ex presidente delle Maldive. Ancora una volta sono i Paesi meno inquinanti a subire le conseguenze peggiori del cambiamento climatico. Molti stanno già costruendo dighe, spostando villaggi costieri su un’altura, facendo appello agli aiuti internazionali o avviando progetti per riparare i danni causati dagli impatti dei cambiamenti climatici.
Quest’anno si sono verificati molti disastri meteorologici estremi, ma nessuno della portata devastante delle inondazioni in Pakistan. Alla Cop27, Shehbaz Sharif, il primo ministro della nazione, ha messo a nudo l’impatto e quanto sia alta la posta in gioco: «Le catastrofiche inondazioni hanno colpito 33 milioni di persone, più della metà delle nostre donne e bambini, le dimensioni di 3 Paesi europei. Nonostante sette volte la media delle piogge estreme nel Sud, abbiamo continuato a lottare mentre impetuosi torrenti hanno strappato oltre 8.000 km di strade, danneggiato più di 3.000 km di ferrovie e spazzato via i raccolti».
E se anche la voce del Pakistan arrivasse da troppo lontano, l’Unicef avverte che quest’anno ci sono state inondazioni devastanti per almeno 27,7 milioni di bambini in 27 Paesi nel mondo. La grande maggioranza di questi è fra i più vulnerabili e a rischio elevato di una moltitudine di minacce, fra cui la morte per annegamento, epidemie di malattie, la mancanza di acqua sicura da bere, malnutrizione, interruzioni dell’apprendimento e violenza. «Stiamo assistendo a livelli senza precedenti di inondazioni in tutto il mondo – dice Paloma Escudero, a capo della delegazione dell’Unicef alla Cop27-, la crisi climatica è qui. In molti luoghi, le inondazioni sono state le peggiori in una generazione, o in diverse generazioni. I nostri bambini stanno già soffrendo su una scala mai raggiunta dai loro genitori».