ItaliaOggi, 9 novembre 2022
Il giornalismo in Germania
Di tanto in tanto continuo a ricevere delle mail da giovani che mi chiedono di fare uno stage nella mia redazione a Berlino. Rispondo a tutti, a malincuore, mi dispiace dare una delusione. Il mio ufficio è nella ex cucina dell’appartamento, la stanza meno grande della casa, mi basta una scrivania minuscola per il computer, alcuni scaffali per i libri che consulto di frequente, e per l’archivio cartaceo sempre più ridotto. Wikipedia non basta. E sono solo, da sempre. Poi ho librerie ovunque, perfino in camera da letto e in cantina.
Quando andavo al caffè italiano che trasmetteva le partite della Serie A e, per bontà del gestore anche quelle del mio Palermo, incontravo giovani venuti a Berlino alla ricerca di una chance. Sarebbe stato, ed è, meglio andare altrove, a Monaco o a Stoccarda. Chiedevo che cosa avrebbero voluto fare. Il giornalista, rispondevano quasi tutti. Ma non sapevano la lingua, di che cosa avrebbero comunque potuto scrivere?, e se ci fossero riusciti, lo avrebbero dovuto fare gratis, o per un compenso non sufficiente a vivere nella capitale.
In Germania diventare Journalist o Journalistin al femminile, non è un mestiere ambito. Non saliamo neppure sul podio, giungiamo in quindicesima posizione, con il 51% di preferenze. Al primo posto troviamo il pompiere, con il 96%, al secondo i dottori con 89%, al terzo gli infermieri. Cioè quanti si prodigano, o dovrebbero, per il prossimo. Seguono i badanti, i poliziotti, gli insegnanti, i giudici, gli spazzini, i piloti, i postini, gli avvocati, gli imprenditori, infine noi, i cronisti. Negli ultimi due anni, abbiamo perso undici punti. Ci possiamo comunque consolare: i politici hanno la metà delle nostre preferenze, appena 25%. Agli ultimi posti troviamo gli assicuratori (con 8%), i pubblicitari (il 10%), e gli addetti alle compagnie telefoniche (13%).
Il mestiere non è più quello di una volta. Io sognavo di diventare inviato speciale o corrispondente dall’estero, e ho realizzato il sogno a 28 anni. Ho avuto fortuna. Oggi si rimane inchiodati davanti allo schermo del computer in una redazione che continua a svuotarsi. Un lento declino, in parallelo con quello delle copie vendute. Molti anni fa, quando mio figlio dopo la laurea mi annunciò di aver cambiato idea, «fare il giornalista non mi piace», gli risposi che era una bella notizia.
Secondo un sondaggio, nell’ultimo anno, il 60% dei giornalisti tedeschi ha confessato che vorrebbe cambiare mestiere. Il 10% ha rivelato di pensarci più volte alla settimana.
Come motivo, il 37 % indica il peggioramento delle condizioni di lavoro, che pregiudica il risultato. Si deve scrivere troppo in fretta, senza potersi informare e controllare le fonti.
Al secondo posto, l’insicurezza: si teme che si continui a ridurre il personale e di venire licenziati. Le chance di trovare un altro posto sono molte ridotte, o si è costretti a trasferirsi altrove.
Calano le copie anche in Germania, con gli introiti pubblicitari, e gli editori risparmiano sul prodotto, cioè tagliando i giornalisti. Di conseguenza il giornalismo ha perduto in qualità, secondo il 48% e in importanza per il 50% per stima sociale, per l’84,% e in convenienza per il 66%.
I giornalisti ritengono tuttavia che le critiche dei lettori siano in gran parte immotivate. Lo stipendio non è esagerato: all’inizio, un redattore guadagna in media 32mila euro all’anno. Più generosa la Tv, da 39mila a 69mila, a seconda delle reti, private o pubbliche. I direttori delle testate più importanti, dello Spiegel, di Stern, della Bild Zeitung, arrivano intorno ai 180mila euro, quanto guadagna un buon medico.
I tedeschi hanno sempre meno fiducia nei giornali, nelle riviste e nella televisione. Resiste la radio, in leggero calo. Un duro colpo è stato inferto dall’autocensura dopo le aggressioni di duemila giovani arabi alle donne, durante il capodanno del 2015. Per cinque giorni si tenne nascosta la notizia. I giornalisti non hanno un Ordine professionale come in Italia. Basta scrivere per un mensile sulla pesca alla trota per ottenere la tessera.
In teoria, da noi sarebbe un reato dichiarare di essere giornalista professionista, come vantarsi di essere medico o avvocato.