ItaliaOggi, 9 novembre 2022
La lezione di Churchill
Storia: insegna, ma non è capita
29 settembre 1938: Adolf Hitler incontra a Monaco il premier inglese Neville Chamberlain, il Primo ministro francese Édouard Daladier e Benito Mussolini. Il mattino seguente firmarono un accordo che permetteva all’esercito tedesco di completare l’occupazione della regione dei Sudeti. Gran Bretagna e Francia comunicarono al governo cecoslovacco che poteva resistere da solo all’invasione nazista o arrendersi e accettare l’accordo.
Abbandonata dai suoi alleati, la Cecoslovacchia gettò la spugna rapidamente. Al loro ritorno in patria, Chamberlain e Daladier furono accolti da folle esultanti, convinte che era stato evitato un conflitto militare disastroso con il Terzo Reich e di avere placato le sue ambizioni egemoniche in Europa. Sei mesi dopo Hitler ruppe l’accordo annettendosi l’intera Boemia e la Moravia.
Maggio 1940: la Germania stava vincendo la guerra e Hitler attendeva con calma la resa dell’Inghilterra. Dopo la disfatta di Dunkerque, Uk sembrava avere le ore contate. Il resto del mondo taceva, con l’Urss in disparte, gli Stati Uniti lontani, l’Italia e il Giappone in agguato. Il grande storico americano John Lukacs ha spiegato perché il Führer non sferrò subito il colpo di grazia all’esercito britannico: attendeva l’esito del confronto, nel partito conservatore e nel governo, tra il ministro degli Esteri Edward Halifax, Neville Chamberlain (il premier che Winston Churchill aveva sostituito dopo l’occupazione nazista della Norvegia) e lo stesso Churchill (Cinque giorni a Londra, Corbaccio, 2001).
I primi due erano favorevoli alla ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto che permettesse un accordo di pace con il Terzo Reich. Churchill, invece, era contrario a ogni ipotesi di «appeasement» con i tedeschi. Il 28 maggio, quando giunse la notizia che il Belgio si era arreso, dichiarò (mettendo al tappeto i suoi nemici interni): «La nostra unica speranza è la vittoria (…) o noi cesseremo di essere uno Stato».
Con questa granitica convinzione morale e politica pronunciò i «greatest speeches», i grandi discorsi che animarono la resistenza contro il nazismo fino alla sua sconfitta. Non c’è dubbio che l’Europa e il mondo intero debbano essere più grati all’eminente statista, che condusse la Gran Bretagna alla vittoria contro le potenze dell’Asse, che a un politico imbelle come Chamberlain o a uno snob cacadubbi come lord Halifax.
Morale della favola: si può credere sul serio che, cedendo al ricatto di un tiranno, costui diventerebbe più indulgente? Churchill l’aveva capito. Oggi chi chiede, di fatto, la resa dell’Ucraina in nome della pace sembra non capirlo. La storia sarà anche maestra di vita, ma ha sempre avuto pessimi allievi.