La Stampa, 9 novembre 2022
Il problema dei salari bassi
Troppi posti precari, paghe basse, tempo parziale anche per molti che vorrebbero lavorare a tempo pieno: questi sì che sono problemi, problemi di una vasta maggioranza di italiani, e non i condoni delle tasse arretrate o gli altri favori a categorie già protette che al momento preoccupano l’attuale maggioranza di governo. Questo ci dice il rapporto Inapp uscito ieri. Ci ricorda anche un dato già noto sul declino del Paese, salari leggermente calati negli ultimi trent’anni mentre nella media dei Paesi Ocse (i 38 più avanzati del mondo) crescevano in media del 38%. Il divario non risulta da misteriose iniquità o profitti nascosti, risulta dal fatto che la nostra economia non ha creato ricchezza quasi per nessuno.Ormai il numero degli italiani all’estero pareggia quello degli immigrati in Italia: perché un lavoro buono e ben pagato si trova meglio oltre confine. Perdono fiato i tentativi di ributtare le colpe sugli altri, sull’euro, sull’Europa, sulla globalizzazione o chissà che. I responsabili siamo noi, nel senso delle cose che non vanno qui. Non è un fenomeno solo italiano il lavoro a termine. Però da noi è parte di un circolo vizioso che scoraggia. A che serve studiare di più, se tanto troverò solo quello? A che serve darsi da fare sul posto di lavoro, se l’assunzione stabile è un miraggio? Quando si rese il lavoro più «flessibile» (il centro-sinistra nel 1997, il centro-destra nel 2003) si sperava che le nostre imprese ne avrebbero approfittato per guadagnare in dinamismo. In teoria l’idea funzionava, in qualche parte ha funzionato. I primi precari spesso furono persone che prima erano impiegate in nero, e per loro era già un passo avanti. Ma nel contesto italiano, perlopiù il contratto a termine è risultato uno strumento per abbassare il costo del lavoro; e il lavoro poco costoso può aver perfino scoraggiato gli investimenti in macchinari e l’innovazione.Ha anche avuto il suo peso che i lavoratori già in forza, gli anziani, riuscissero a fare quadrato per difendersi. La caratteristica più anomala del mondo del lavoro italiano è infatti che i giovani, anche quando assunti in pianta stabile, stentino a fare carriera. E già partono dal basso: il primo stipendio di un ingegnere è poco più della metà che in Germania. Se il lavoro dipendente soffre, tra precariato, orari ridotti, basse paghe, alcuni esponenti dell’attuale maggioranza confidano ora in una soluzione che in realtà è vecchissima: tassiamo il meno possibile chi si mette in proprio. Per questo vogliono allargare ancora il privilegio fiscale di cui i lavoratori autonomi da qualche anno godono rispetto ai lavoratori dipendenti.Può essere questa la via per il futuro? Negli Stati Uniti, solo il 6% lavora in proprio. In India, il 50%. L’Italia, con circa il 23%, è già sopra quasi tutti gli altri Paesi europei, tranne la Grecia. Benvenuto chi si dà da fare con una start-up; ma nei grandi numeri non è dall’impresa individuale che ci possiamo aspettare gli aumenti di produttività capaci di elevare il benessere di tutti.