Corriere della Sera, 8 novembre 2022
Tiziano Ferro: «Canto la mia paternità»
«I riferimenti a fatti accaduti e persone esistite non sono casuali». Tiziano Ferro non ha smesso di cantare i sentimenti, ma nel nuovo album «Il mondo è nostro» (esce venerdì 11), quel senso di universale è più spesso che in passato legato a esperienze personali chiaramente identificate. «Forse perché si sono moltiplicati i media di racconto di un artista... Oggi oltre alla canzone ci sono le interviste, i libri, i documentari a esporci e quando esce un disco il pubblico ha già delle fotografie, dei riferimenti. E poi ho meno pudore rispetto al passato. Prima mi vergognavo, non mi sentivo in diritto di stare male. mi dicevo “sta zitto e sorridi”».
Qui addirittura dedica «Addio mio amore», brano elettropop anni 80, alla depressione...
«Il coraggio di affrontarla me l’ha dato Lady Gaga. La nostra casa discografica mi aveva mandato a intervistarla e mi ero documentato ascoltando un podcast in cui affrontava a fondo la sua condizione mentale. Arriva un momento in cui capisci che la depressione ti fa vedere certe cose attraverso il suo filtro, non è la realtà».
Affrontare la depressione è stato un percorso parallelo a quello dell’addio all’alcol raccontato nel documentario del 2020?
«No. Il momento della diagnosi è il più difficile. Ero in analisi da tempo per altro, il mio rapporto con il cibo, la repressione dei miei sentimenti... la depressione cronica l’ho capita andando a vivere in California dove è vista come una malattia: non è follia, ma serotonina bassa».
A proposito di persone reali, «Mi rimani tu» è per sua figlia Margherita e «A parlare da zero» è per Andrés...
«Baglioni ha detto che tutti i cantautori scrivono una canzone quando hanno un figlio... eccomi nel club... Mai come adesso capisco quello che hanno fatto i miei genitori per me e glielo ripeto sempre. Io ho fatto i figli a un’età più adulta, con più lucidità e con più possibilità di avere aiuto anche se non abbiamo una tata fissa. Ho spostato il tour al 2023 proprio per stare con loro nel primo anno».
La trilogia familiare si completa con «La prima festa del papà»...
«Non ci sarà un seguito (ride): il mio fisico ha dato abbastanza... Nelle parole della canzone c’è il messaggio di auguri che mi ha scritto mio papà per la festa: un gesto potente che mi ha sbloccato quando sentivo ancora vergogna e inadeguatezza, ero ormai atrofizzato all’idea che quella cosa non potesse essere per me».
Nel testo dice che la paternità è negata «a chi è come me». Come stiamo a diritti? Vive a Los Angeles, ma teme una retromarcia in Italia?
«Siamo indietro a prescindere dagli schieramenti. Nessun governo ha mai fatto nulla di importante... Quella frase ce la si sente addosso... Conosco tanti ragazzi che risparmiano una vita per andare in Spagna, coppie che attendono anni per un’adozione, single cui non è concesso. È ovvio che non sono d’accordo con certe posizioni della maggioranza, ma mi auguro che chi è capo del Paese faccia il bene del Paese. Non c’è tempo per fare del male. Concedere più diritti a qualcuno non ne toglie ad altri».
Che papà siete lei e Victor? Chi è il più permissivo?
«Veniamo da famiglie piene di amore, ma anche disciplina e rispetto verso gli adulti, cose che non vanno di moda nella pedagogia americana di questi tempi. Si cercano modi idioti di dire no ai bambini senza usare la parola, non ci sono punti nelle gare sportive... ma la vita ti dice no, ti dice che non hai vinto».
«Il paradiso dei bugiardi» è uno sfogo contro l’hating?
«Sono stato ferito tante volte e spesso non mi sono sentito in pace di fronte a determinati sentimenti negativi. Ci sono parole che ti arrivano addosso da ragazzo e a 40 anni sei ancora ferito... Con il brano trasformo la sofferenza in qualcosa di positivo».
Nel testo prende di mira un collega che scrive canzoni ma con altri cinque autori. Una replica a Fedez per la rima omofoba?
«Ritenta, sarai più fortunato».
Il 7 giugno parte il tour. Sarà diverso da come lo aveva pensato nel 2020?
«Non più di tanto. la forma può cambiare, ma il concetto che mi guida è la scaletta, le canzoni. L’ho capito guardando gente come Rod Stewart, Boy George, Duran Duran, Cindy Lauper».