la Repubblica, 8 novembre 2022
Greta passa il megafono
Mentre i grandi leader del mondo riuniti in plenaria vanno avanti a suon di “bla bla bla”, sempre se non verranno smentiti da azioni concrete, Greta Thunberg ha deciso di fare un passo indietro.
Non solo non è presente alla Cop27 in Egitto, ma ha anche scelto di annunciare quello che appare il suo ritiro dalle scene: «Sono pronta a passare il megafono ad altri», ha raccontato ieri alle agenzie svedesi. Un ritiro annunciato da tempo, culminato con l’arrivo di tre fattori: una Conferenza delle parti blindatissima e dagli accordi complessi, la necessità di dare più spazio agli attivisti dei Paesi colpiti ogni giorno dalla crisi del clima e la volontà sulla soglia dei vent’anni di nuove scelte personali.
Quattro anni fa, ad agosto 2018, con quel cartello con su scritto “sciopero scolastico per il clima” la teenager svedese aveva dato una scossa tale da creare una compatta onda verde di giovani preoccupati per il loro futuro e la salute del Pianeta, in breve tempo diventata tsunami: dai movimenti come Fridays For Future sino a scienziati e cittadini che si sono uniti nella battaglia contro le emissioni, il volto di Greta e dei giovani con la faccia dipinta di verde si è trasformato in simbolo costante e pressante nella lotta al surriscaldamento. Greta e gli altri sono scesi in piazza, sono andati alle Cop, hanno partecipato a dibattiti e cortei: inquattro anni però poco è cambiato e nemmeno il vertice in corso in Egitto, in attesa di conoscere gli accordi finali, sembra portare alle conclusioni sperate, con i Paesi ancora lontani da intese, per esempio su “loss and damage ”.
Così, tra accuse digreenwashingrivolte al summit e sfiducia nella politica, Thunberg appena dopo l’uscita del suo ultimo libro ha scelto di fare un passo di lato per far luce agli attivisti dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica, dato che «è a loro che dobbiamo dare attenzione».
Dopo che a Milano, nel 2021, alla pre-Cop aveva lanciato Vanessa Nakate, attivista ugandese, e come lei altri giovani provenienti da Africa, Asia, Sudamerica, ora è tempo di finire il suo percorso di studi e pensare a quel futuro che, diceva, i grandicon emissioni e fonti fossili volevano rubarle: un domani non più da paladina dell’ambientalismo ma forse, studiando, da attivista impegnata a colmare disuguaglianze sociali e politiche, anche se per ora si è detta non interessata alla politica stretta.
Un futuro in cui i giovani e le loro richieste verranno messe al centro, al contrario di quanto sta accadendo in Egitto. Nella blindatissima Sharm El-Sheikh infatti gli studenti del clima, i cartelli “no planet B”, le proteste, i blocchi del traffico e i cortei per fare pressione sui potenti non ci sono, non sono permessi. Il governo ha emanato un divieto di proteste e ha predisposto un’unica zona in cui manifestare (solo previa richiesta 48 ore prime), ben lontana dalle stanze del potere. Tra costi altissimi per raggiungere e soggiornare a Sharm (anche sopra i 2.500 euro a settimana), difficoltà logistiche e arresti già avvenuti in Egitto, il dissenso è stato svuotato in partenza. Perfino le app servono per controllare ogni cosa: nella applicazione ufficiale della Cop27 bisogna registrarsi fornendo il numero di passaporto e tra cessione di dati personali o possibilità di geolocalizzazione, molti think tank del clima sconsigliano vivamente di scaricarla. Il risultato è il silenzio. Se anche Greta volesse passare il megafono, perlomeno a qualche leader della protesta, oggi a Sharm El-Sheik non saprebbe dunque a chi darlo.