La Stampa, 8 novembre 2022
Intervista a Pierluigi Collina
La valigia di Pierluigi Collina è pronta ed è più leggera del solito. Il capo degli arbitri Fifa domani arriva in Qatar per i Mondiali più tecnologici di sempre e il mestiere oggi si fa più semplice di quando a dirigere in mezzo al campo c’era lui.
Dopo la goal line e la Var esordisce il fuori gioco semiautomatico. Sarà un Mondiale senza errori?
«L’obiettivo di ogni Mondiale è fare meno errori possibili e con gli arbitri lavoriamo per questo. Poi la tecnologia ci permette di minimizzare l’impatto degli sbagli. In Qatar aiuta anche l’esperienza: abbiamo introdotto la Var in Russia con un numero limitato di arbitri già rodati sul mezzo, oggi la usano tutti. Siamo più tranquilli».
Il fuorigioco semiautomatico spegnerà ogni discussione su uno dei temi più dibattuti della storia del calcio?
«È un passo oltre, una tecnologia che permette di stabilire con maggiore accuratezza e rapidità un fuorigioco. Posizione dei giocatori e pallone monitorati rispettivamente 50 e 500 volte al secondo. Ma è solo un supporto e la decisione finale spetta all’uomo, in particolare nella valutazione dell’interferenza».
Stavolta però sia allo stadio sia in tv arriverà l’immagine prova.
«Sì, una trasposizione grafica tridimensionale, molto più chiara, con un ritardo di una ventina di secondi».
Dopo 6 anni di Var il pubblico è allenato?
«Credo di sì, anche se rispetto alla tecnologia, il tifoso è ancora in fase di adattamento. La prima riunione sulla tecnologia in campo è del novembre 2014, 8 anni rispetto alla storia del calcio sono pochi. Certe esperienze devono ancora essere assimilate. Nel tennis battono le mani in attesa del verdetto dell’occhio di falco, nel basket vediamo addirittura dei momenti di show nell’attesa delle decisioni».
Succederà pure nel calcio?
«Di sicuro a nessuno verrà mai in mente di tornare indietro».
Perché l’Inghilterra, dove c’è il campionato più competitivo, è il posto dove l’avversione alla Var è più evidente?
«Non lo so ma la usano e la useranno. Qualcuno può pure sostenere che fosse meglio lasciare tutto all’interpretazione dell’uomo ma non può essere che ogni spettatore nello stadio abbia in mano un telefono con cui rivedere l’azione e l’arbitro non possa farlo».
In Qatar ci sono 6 donne convocate, per la prima volta: tre arbitre e tre assistenti.
«Sogno di non dover più commentare il numero delle donne presenti nella mia squadra. Per me ci sono 129 arbitri in Qatar. Genere neutro».
A proposito di genere. Var è femminile?
«Sì, la tecnologia, quindi femminile, se poi ci si riferisce a chi controlla dipende, però sarebbe giusto usare videomatchofficial. Il calcio ci offre una lingua internazionale meravigliosamente neutra».
Una arbitra che arriva dal Rwanda non è neutra. Segno della globalità del calcio?
«Tutti gli arbitri selezionati godono della nostra fiducia. Allo stesso modo».
Resiste un pregiudizio sulle capacità fisiche delle donne?
«I test sono costanti, ogni arbitro si conosce, sa su quali caratteristiche basarsi. Poi ci sono delle differenze ma qui non corriamo i 100 metri per cui esistono obbligatoriamente due categorie distinte».
Esiste un modo di arbitrare femmina?
«Esistono diversi modi di arbitrare. Anche due arbitri maschi non si muovono allo stesso modo, un brevilineo farà affidamento sullo scatto e uno alto 1,90 magari distribuisce lo sforzo in modo differente».
Anche in Italia una donna ha arbitrato in serie A. E si è parlato soprattutto della sua presenza in tv la sera stessa. Lei è stato il primo a parlare subito dopo una partita. Perché non può succedere sempre?
«Io sono per il confronto. La Fifa organizza da sempre dei media day con gli arbitri, ma ci sono momenti in cui proprio non è possibile commentare il proprio lavoro, proprio per l’importanza di quel che stiamo facendo».
Da noi c’è una crisi di vocazione per gli arbitri. Come si contrasta?
«Non è solo un fenomeno italiano purtroppo. Nelle serie minori è un abuso continuo, gli arbitri sono bersagli. È intollerabile e neanche comprensibile».
Come si risponde a questa tendenza odiosa?
«Con l’educazione. La coercizione serve a poco, deve proprio cambiare l’approccio».
Anche i casi di razzismo negli stadi aumentano. Gli arbitri possono decidere di fermare una partita. Farlo darebbe un segnale o potere a chi provoca?
«Dare segnali è fondamentale, da anni è stato adottato un protocollo con tre step che può portare fino alla sospensione definitiva della partita. È una decisione che nessun arbitro vorrebbe prendere, decidere di non giocare è una sconfitta per tutti. Per il calcio».
Quindi quando ha senso la scelta estrema?
«Non si può più accettare per esempio una banana gonfiabile tirata in campo. Se gli idioti insistono non gli si può lasciare spazio e nessun arbitro si fa problemi organizzativi in queste situazioni».
Giusto giocare competizioni come i Mondiali in posti che non garantiscono la libertà di espressione e un trattamento degno per i lavoratori?
«Io mi occupo di questioni tecniche e mi attengo al mio ruolo».
Secondo Mondiale senza Italia. Che effetto fa?
«Un gran dispiacere ma io devo guardare il mondo e per me ci sono 33 squadre di cui occuparmi, soprattutto la 33esima, quella degli arbitri».