Corriere della Sera, 8 novembre 2022
L’uccisione nel 1945 di una tredicenne perché fascista
Nel 2017 fece discutere l’apposizione a Savona di una targa (più tardi vandalizzata) in ricordo di Giuseppina Ghersi, ragazzina di 13 anni appartenente a una famiglia di simpatie fasciste uccisa nel 1945. La versione dei promotori dell’iniziativa era che la giovanissima «Pinuccia» fosse stata violentata ed eliminata da partigiani per aver scritto a scuola un tema in onore di Mussolini. L’Anpi locale la presentava come collaborazionista e spia dei nazifascisti. Fra le voci più polemiche ci fu allora il collettivo sul revisionismo che si firma Nicoletta Bourbaki, intenzionato a studiare la vicenda per sfatare quelle che riteneva calunnie contro la Resistenza.
La parola è stata mantenuta con il volume La morte, la fanciulla e l’orco rosso, che Bourbaki ha di recente pubblicato per l’editore Alegre. Il libro non contiene solo una ricostruzione del caso Ghersi, attraverso una minuziosa ricerca fra le carte d’archivio, ma anche una ricognizione più generale circa le ricorrenti diatribe sul comportamento dei partigiani comunisti, in particolare sulle azioni poste in essere contro i fascisti (ma non solo) dopo la fine delle ostilità in Italia. Alcune considerazioni degli autori sono condivisibili, altre meno: esagerate paiono ad esempio le critiche contro Giampaolo Pansa.
Quanto all’omicidio di Giuseppina Ghersi, non trova conferma la diceria del tema scolastico come movente dell’uccisione, né vi sono prove che sia stata stuprata. Risulta invece che era una fervente fascista, per come si può esserlo a quell’età, e che frequentava i militi della Rsi. Alcune testimonianze riferiscono che avrebbe svolto un’attività delatoria, ma dato che ostentava la sua fede politica, è poco credibile che abbia causato gravi danni al movimento partigiano. Le spie davvero pericolose non si fanno notare.
Resta il fatto nudo e crudo che fu eliminata a tredici anni. L’unico indiziato per il delitto, tale Luigi Rossi, finì sotto accusa nel 1951, ma non venne processato per via dell’amnistia Togliatti del 1946, la stessa della quale fruirono molti repubblichini di Salò. Quindi oggi, conclude Bourbaki, possiamo dire soltanto che Ghersi «fu uccisa da mani sconosciute nelle ore dell’insurrezione». Ma convince poco, a tal proposito, citare l’atto giudiziario secondo cui l’omicidio non ebbe «alcuna ragione diversa dalla lotta contro il fascismo».
Occorre certo tener conto del clima feroce dell’epoca, dell’odio che la guerra aveva seminato, ma riesce comunque arduo far rientrare nella lotta contro il fascismo un atto così brutale, commesso contro una ragazzina incosciente e ormai del tutto innocua, dopo la caduta della Rsi. Si tratta di una pagina nera, bisogna riconoscerlo.