la Repubblica, 6 novembre 2022
Elogio della maratona di New York
Qui si corre per riparare il mondo (e i viventi). Non è più un giretto a Central Park, ma la più grande festa di quartiere del mondo o il più grande raduno di massa dell’umanità, scegliete voi la dizione che preferite. «Marathon is back, baby», la maratona è tornata. New York riapre le porte al grande respiro, per fare del bene a voi stessi e agli altri. Non parla di record (troppi i cinque ponti), ma di inclusione, di benessere fisico e soprattutto mentale. Più di 400 milioni di dollari distribuiti in beneficenza dal 2006, peccato che i ricavi siano scesi dell’80% per la pandemia e 260 persone dell’organizzazione abbiano perso il lavoro (ma ora si riaprono le posizioni). Questa è l’edizione numero 51, la più calda della storia (18° C), con 2.222 italiani, alle spalle ha un milione e trecentomila partecipanti. Una volta sulla solitudine del maratoneta ci scrivevano libri, film e canzoni. Born to run di Springsteen è del 1974. I 42 chilometri e 195 metri erano una fuga esistenziale, la voglia di restare incompresi, una ribellione senza causa. E senza perché. Ricordate il «sono un po’ stanchino» di Forrest Gump nel ’94? OL’arte di correre del giapponese Murakami (2009)? Oggi si corre per una, tante cause: contro ogni tipo di disgrazia, di difficoltà, di malattia, per allontanare i traumi. È un cerotto collettivo, forse non cura, ma disinfetta le ferite, come nel 2001, quando cinquanta giorni dopo l’attentato dell’11 settembre, Chris Bilsky, infermiera al Memorial Sloan Kettering Cancer Center, senza mai smettere di piangere corse con i nomi di tre amici scritti sulle braccia, persi negli attacchi al World Trade Center. Ora il motto è «Running Stronger. Together». Questa maratona è stata appena dichiarata dallo Stonewall Inn il primo evento sportivo “Safe Space” per la comunità Lgbtq+. E per la prima volta la categoria non binaria avrà un premio (5mila dollari ai primi cinque classificati). Invece al pompiere Gary Muhrcke che nel ’70 vinse la prima edizione regalarono un orologio, ma niente bevuta, perché nessuno aveva il cavatappi per la bottiglia di soda (non c‘erano ancora le lattine).
Oggi ci sono varie stazioni di rifornimento per le donne che allattano, 1.600 bagni chimici, 90.000 bottiglie d’acqua, 40 tende mediche, rifornite di 14.000 bende e 220 vaschette di vaselina per le vesciche ai piedi. Tra i top runners l’italiano Daniele Meucci, 37 anni, alla sua terza uscita dell’anno. Anche le celebrità sono qui per qualcuno e non (solo) per lucidare la loro fama: l’attore Ashton Kutcher (ex di Demi Moore) farà il suo debutto a 44 anni per “Thorn”, una non-profit che difende i bambini dagli abusi sessuali online, Claire Holt dei Diari del Vampiro correrà per l’ospedale dei bambini di Boston, da ricordare che nel 2003 il rapper P. Diddy, raccolse due milioni di dollari per il Dipartimento dell’Istruzione di New York. E se la Grande Mela nello sport non vince niente, nella sua maratona vincono tutti. Si corre per te, per voi, per noi.
Noor Abukaram viene dall’Ohio, per la prima volta sarà al via, con i suoi genitori. Nel 2019 da studentessa venne squalificata in una gara di cross country perché portava l’hijab. Jon Auty è del New Jersey, all’età di 78 torna a correre dopo 40 anni, in onore dell’amore dellasua vita, la moglie Bev, morta di cancro nel 2021. Berkley Cameron è di Chicago, da 12 anni si sciroppa chilometri per salvare gli animali, ha già raccolto 50 mila dollari per curare 30 mila cani e gatti. Raymond Choy è del Queens, ha 71 anni, un incidente sul lavoro nel ’93 lo ha reso disabile, non si è perso d’animo, è alla sua 24ª maratona. Jack Cummings, 34 anni, inglese dello Yorkshire, militare della British Army, colpito da una bomba, ha perso le gambe, dopo tre anni e mezzo in un centro riabilitativo fa parte della squadra Making Generation Resilience . Carla Drumbeater è del Minnesota, della tribù degli Ojibwe, quando ha scoperto di avere il diabete, si è associata alNative Strength Revolution , organizzazione che insegna agli indigeni a stare in salute. È dimagrita 24 chili, è diventata istruttrice yoga e informa come tenere a bada la malattia con l’allenamento. Natalie Edmundson, nel ’97 era all’ultimo anno di scuola, quando una sparatoria fece 17 vittime, corre per Sandy Hook Promise , charity impegnata nella salvaguardia degli studenti. Costa Ioannu del Queens gareggia per “Cure Epilepsy”, in onore di sua figlia Joanna, morta nel sonno a 9 anni per un attacco della malattia proprio il 6 novembre di quattro anni fa. Passle Helminski, 68 anni, è una signora della Pennsylvania che nel luglio del ’93 si stava allenando per correre a New York, fu aggredita e colpita alla gola (arteria carotide sinistra), il successivo infarto la lasciò senza parole e con la parte destra immobilizzata. Sentì il dottore dire: «Morirà nelle prossime 48 ore». Due settimane dopo uscì dall’ospedale e per lei la maratona diventò fare pochi passi per arrivare alla cassetta postale di casa. In questi 29 anni si è rotta tibia, braccio, naso, è stata operata all’occhio, ma oggi gareggia perVoices for Independence , al posto del suo cane Zoey avrà una guida umana. Maryam Naghavi di San Francisco ci sarà in rappresentanza delle donne iraniane, senza voce e senza volto. Per dire con o senza affanno che tagliare il traguardo è sempre un ritorno al futuro.