Achille Bonito Oliva per “la Repubblica – Robinson”, 7 novembre 2022
IL MIGLIOR BRAND DEL MONDO: LA CROCE - ACHILLE BONITO OLIVA: “CON QUESTO SEGNO LA CHIESA HA INTRODOTTO L’USO PUBBLICITARIO, CAPACE DI PARLARE ALLE FOLLE - LA FALCE E IL MARTELLO? LA SPERANZA DI UNA TRASFORMAZIONE DEL MONDO A LIVELLO ECONOMICO. LA COCA-COLA, SIMBOLO DEL CONSUMISMO AMERICANO - PICASSO È IL GRANDE CANNIBALE DEL XX SECOLO, HA SINTETIZZATO, UTILIZZANDO TUTTI GLI STIMOLI: GUERNICA E’ IL PRIMO MANIFESTO DI PROPAGANDA POLITICA - L’ICONA DELLE AVANGUARDIE? DE CHIRICO - L’ESPRIT DE GÉOMETRIE NELL’ARTE EUROPEA? MONDRIAN. L’ESPRIT DE FINESSE, MATISSE" -
Ritengo che rimanga come codice, anche nel XXI secolo, la croce, quella croce che apparve in sogno a Costantino con la scritta: «In hoc signo vinces», quella croce che viene ribadita dalla durata e dalla persistenza dell’unica grande monarchia che ha sfidato duemila anni di storia, che è la Chiesa cattolica con la sua sede in Vaticano e con il suo re assoluto che è il Papa.
Con questo segno della croce «In hoc signo vinces», credo che la Chiesa abbia introdotto, proprio attraverso questo simbolo, l’uso pubblicitario, penetrante capace di parlare alle grandi folle: infatti con la croce Costantino non è che si armò di una protesi militare, ma di una fede che sconfisse i nemici.
Oltre alla croce, abbiamo come codice contrapposto nella prima metà del secolo scorso, la falce e il martello, che designa simbolicamente la speranza di una trasformazione del mondo a livello strutturale cioè economico, e a livello sovrastrutturale, per quanto riguarda i concetti di uguaglianza e parità sociale.
Questo codice ha dominato anche indirettamente il lavoro di ricerca dell’arte delle avanguardie storiche, in quanto ha dato ad alcuni l’illusione che si potesse fiancheggiare la rivoluzione politica attraverso la rivoluzione linguistica.
Un altro è sicuramente rappresentato dalla Coca-Cola, che a mio avviso assume, proprio come era stato per la croce nel sogno di Costantino, il posto di un sogno universale che parte dal consumismo americano e si diffonde attraverso il potere militare ed economico dell’America nel resto del mondo. La Coca- Cola non è più una bevanda dissetante ma è lo status symbol di un popolo che, attraverso di essa, non solo si disseta, ma si nutre; dunque la Coca- Cola come icona di una strategia di diffusione mondiale.
Nel momento in cui un prodotto acquista una sua diffusione mondiale e designa anche il potere che la sostiene alle spalle, automaticamente non è più pubblicità di un segno ma è rappresentazione di un universo.
Ovviamente mi pare che in termini artistici, il movimento che meglio abbia saputo raccogliere la presenza di questi segni sia la Pop Art americana, che rende bidimensionale la profondità simbolica, che screma la metafora di ogni senso allusivo e ne riproduce semmai la sintassi, la grammatica visiva. In questo modo la Pop Art in fondo sposta e fa viaggiare il simbolo nella direzione della telematica, dell’immagine bidimensionale e televisiva, dove appunto la mancanza di spessore permette, ancor di più, al singolo modello, di viaggiare e di penetrare velocemente assottigliato nelle sue forme di origine bidimensionale.
A differenza della Pop Art che ha giocato su simboli esterni alla cultura, la Transavanguardia ha giocato a citare invece i segni interni della cultura, ha giocato sul nomadismo culturale e ha citato gli stilemi dell’arte del passato, degli artisti delle avanguardie storiche, e li ha riprodotti in un quadro dinamico di intreccio, di contaminazione, di assemblaggio e di riconversione, scremando ancora una volta attraverso la citazione questi segni di ogni allusione utopica e riportandoli invece nel consumo del nostro presente.
La Transavanguardia rappresenta proprio la strategia che contrappone alla citazione del codice commerciale americano, la citazione del segno culturale di marca prettamente europea, capace di indicare un tracciato storico dell’arte che abbiamo alle spalle, contrapposto invece, al piccolo cammino, per quanto riguarda la storia dell’arte, che la cultura americana ha potuto fare dalla sua indipendenza.
Picasso rappresenta, con tutto il suo lavoro, un esempio indiscutibile del nomadismo culturale; è un artista di grande attualità, è il grande cannibale del XX secolo, è quell’artista che ha sintetizzato, utilizzando tutti gli stimoli, non solo lavorando col futuro, ma anche riprogettando il passato iconografico dell’arte, citando, assorbendo, modificando, ampliando gli stilemi che gli derivavano dall’arte del passato, riattualizzandoli in un quadro visivo estremamente dinamico e capace ancora di parlare a tutti noi; io direi che, se dovessi individuare un’icona per l’arte europea, individuerei, per quanto riguarda il discorso politico, in Guernica, il primo manifesto di propaganda politica.
Picasso, è un artista che ha saputo mediare con delicatezza la ricerca di marca cubista con il discorso di una sua comunicazione sociale allargata ad una collettività internazionale traumatizzata dalla tragedia del bombardamento di Guernica. Se dovessi pensare ad un’icona capace di rappresentare le avanguardie del XX secolo, penserei ad una grande piazza di de Chirico, laddove il grande artista metafisico ripropone la prospettiva rinascimentale come misura del vuoto e non più del pieno che la storia riusciva a dare di sé nel Rinascimento.
Se dovessi ancora indicare l’esprit de géometrie nell’arte europea penserei naturalmente a Mondrian, per l’esprit de finesse penserei a Matisse, e se dovessi pensare al primo artista capace di contrapporre una strategia a Picasso interna all’arte e anche piena di prospettive, individuerei Duchamp, in particolare, in quella famosa fotografia fattagli da Irving Penn con le mani conserte, in un angolo, con un sorriso come quello della Gioconda, a dichiarare lo scacco che può produrre l’arte attraverso i suoi scatti linguistici, ed anche lo scacco che lui stesso riceve per il fatto che dovrà anche subirla, la morte.
Il rapporto tra artisti storici, quelli che hanno fatto del codice una bandiera ideale e formale e artisti che in qualche modo si ispirano a forme riconoscibili non dipende molto dalle radici culturali. Nel caso di Beuys la citazione della croce è imbevuta di cultura esoterica e di profondità romantica di spirito schilleriano; nel caso di Cucchi abbiamo un felice nomadismo che lo porta a citare la croce come necessità linguistica all’interno di un’economia iconografica dove la croce rappresenta sé stessa e un supporto, in fondo, spirituale dell’opera.
Riguardo all’individuazione degli itinerari delle ultime generazioni, a me pare che nella fase attuale dell’arte ci sia una citazione raffreddata, con una disinvoltura quasi pubblicitaria, cioè l’artista diventa come un copyrighter che utilizza ogni segno, anche del passato, pur di rafforzare la tenuta della propria immagine, ma credo che sia una pura astuzia. Mi pare che ci troviamo di fronte, in questo momento, a un itinerario parlato da un tempo che sembra promettere un permanente presente, più che un futuro.
Il codice e la metafora sono dei siluri che viaggiano dal passato al presente per rivolgersi al futuro. Sono mappe, travestimenti dell’iconografia, per sfuggire alla comprensione del proprio tempo e aspettare un futuro migliore. La via d’uscita in questo panorama è rispettare il movimento eccellente dell’arte, che può, nel tempo, riproporre delle proprie cadenze interne, capaci di cogliere la profondità dell’immagine, seppure attraverso la citazione.