la Repubblica, 7 novembre 2022
Così Bagnaia l’antidivo ha riacceso la Ducati
La traversata del deserto è finita, in una nuvola di sabbia rossa. Quanto è durata? Non è relativo il tempo, lo è l’attesa: un anno appena se si conta dall’addio di Valentino Rossi, che sembrava dover curvare ogni rettilineo verso la vittoria; cinquanta se si calcola invece dall’ultima abbinata tra pilota e moto italiana. Irripetibile, si diceva. Non ci riuscì, appunto, neanche Valentino.
Missione impossibile. Invece: Francesco “Pecco” Bagnaia e la Ducati. Una coppia non strana in sé, ma per quel che le fa da sfondo. Si stagliano sul panorama come eccezioni. Profilano una diversità etica che sarebbe bello diventasse regola ma, ecco, quella sì sarebbe l’impresa.
Vengono da Chivasso e da Borgo Panigale, provincia di Torino, quartiere di Bologna. Hanno conosciuto orbite satellitari, rombi attutiti di motori spenti in stabilimenti chiusi, aerei in atterraggio, cancelli che proteggevano leggende in cerca di una seconda vita.
Pecco non è il classico campione italiano, quello tutto estro e personalità, l’irregolare che si esalta nell’exploit: Adriano Panatta, Alberto Tomba, Marcell Jacobs, lo stesso Valentino. Di quest’ultimo, alle spalle della linea di partenza nel circuito di Valencia, esiste un immenso murale. Ha finito correndo all’ombra di sé stesso e non ha più potuto vincere. Bagnaia l’ha fatto staccandosene, immettendo ingredienti diversi nella formula del successo, quelli che la Ducati non ha riconosciuto per molto tempo, affidandosi a guide fuori tempo (Lorenzo) o fuori posto (Iannone) e non riuscendo mai a trovare nel carattere di Dovizioso la comunità di intenti e di modi garantita dall’ultima, felice scelta.
La loro vittoria comincia nel punto più basso, quando sembra esclusa, quando la classifica del campionato dice -91 rispetto a Quartararo, campione uscente, sicuro e affidabile. Pecco non ha più un futuro, l’eredità di Valentino scivola via: prima è parso spettasse a Morbidelli, ora già viene assegnata a Bastianini, a lui è toccata una carezza del mantello, una gibigiana sulla visiera del casco. Poi più niente. Proprio lì i destini trovano il loro incrocio. Molti anni prima la Ducati aveva prodotto un modello, la TL, accolta dall’articolo di una rivista specializzata con questo titolo: “Sarà l’ultima?”. Era sgraziata, non confortevole, sembrava condurre verso il viale della chiusura. Tra quelli che la comprarono ci fu un giovane futuro ingegnere di nome Filippo Preziosi, che avrebbe poi progettato la Desmosedici, con cui Stoner vinse il Mondiale nel 2007. Raccontò di aver acquistato quell’esemplare sfortunato perché aveva comunque l’anima ducatista: essenzialità, non appariscenza. In un incidente accaduto mentre, guarda il caso, attraversava in moto il deserto, perse l’uso delle gambe. In ospedale andarono a trovarlo con uno striscione che era il motto della casa, tre parole in inglese: “Never give up”, mai mollare, nella traduzione letterale bolognese: mai darla su. Neppure quando la distanza è di 91 punti e i giochi sembrano fatti e finiti. In quel momento avviene la trasfusione caratteriale tra il pilota e la casa costruttrice. Lui ricambia con un elemento fin lì poco presente in una genetica ricca di intelligenza e fantasia: il metodo. Con i primi due rimonta, con il terzo non si fa più raggiungere.
L’idea che le gare non siano finite finché non sono finite non è italiana. Appartiene per concezione al baseball americano, per adozione al calcio inglese. Sono di solito altri a entrare nello spogliatoio sullo 0 a 3 e saperne uscire per andare a vincere. Ancor più difficile è rimettere la testa avanti e non farsi fregare dall’euforia, pensando che non occorra altro e soprattutto che non si debba cambiare marcia proprio allora “rallentando per poi accelerare”, “gentilmente senza strappi al motore”. È quel che ha fatto Bagnaia ieri. Valencia è più un ultimo giro che un’ultima corsa. Eppure quando poco dopo il via lui e Quartararo hanno cominciato a sfidarsi come ragazzini per la supremazia nel cortile, si sono toccati e un’aletta della moto rossa è volata via, riecco i fantasmi dei duelli passati. Valentino contro Marc Marquez: la tigna, le scintille, l’errore fatale, l’umiliazione alla catalana. Deve averli visti anche Pecco perché, con metodo, si è lasciato scivolare indietro, dove per un paradosso della fisica valevole soltanto per lui, gli altri si allontanavano e il traguardo si avvicinava.
Non è l’erede di Valentino: è un altro uomo, un’altra storia e non importa quanto durerà, ma che sia accaduta.