la Repubblica, 7 novembre 2022
Intervista al capitano della Humanity 1
«Se adesso andassi via violerei una serie infinita di leggi e convenzioni internazionali e qui nel porto di Catania non sto facendo nulla di illegale. Sto seguendo la legge del mare». Cinquantanove anni, di Brema, Joachim Ebeling, è il comandante della Humanity 1.
Tedesco. Come Carola Rackete, la comandante di Sea Watch 3 che nel 2019, pur di portare in salvo i naufraghi che aveva a bordo, dopo un’interminabile attesa ha deciso di forzare il blocco imposto dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
«Non la conosco personalmente, solo tramite i media», dice Joachim.
Ma, come lei, comanda una nave rimasta impiccata a un ordine interministeriale — e Salvini da ministro delle Infrastrutture firma anche questo — che lo obbliga a non far sbarcare naufraghi salvati nel corso della missione. E come lei, sulla nave è quello che ha l’ultima parola.
Quando è arrivato l’ordine di allontanarsi con a bordo i trentacinque sopravvissuti alle traversate del Mediterraneo cui è stato vietato di sbarcare perché non ritenuti sufficientemente fragili, ne ha avuta una sola: «No». Con le conseguenze legali del caso.
Si è pentito di aver accettato l’incarico di comandare la Humanity?
«Assolutamente no, sono sicuro che stiamo facendo la cosa giusta. E poi guardarsi indietro non è mai un’opzione».
Non ha paura di una denuncia o di altri provvedimenti?
«Sono un capitano esperto, con anni di mare alle spalle.Per me, questa è una situazione inedita, che mai avrei immaginato e chiaramente mi mette a disagio. Ma sono sereno perché ho solo fatto il mio dovere in mare, seguendo leggi e regolamenti».
Qual è stato il momento peggiore di questa missione?
«Esattamente quello che stiamo vivendo adesso: siamo costretti ad assistere inermi alla violazione dei diritti fondamentali delle persone».
E a livello personale?
«Affrontare un governo che cerca di costringermi ad agire contro la legge e contro il mio dovere di capitano di portare la mia nave e chi è a bordo al sicuro».
Se potesse mandare un messaggio a chi ha firmato quel decreto, quale sarebbe?
«Ai responsabili di questa situazione direi di informarsi meglio sul dovere di soccorso delle persone in pericolo in mare. Lo sbarco dei naufraghi nel luogo sicuro più vicino è un obbligo.
E il nuovo governo italiano non può cambiare il diritto internazionale delmare a proprio piacimento».
Perché ha deciso di non lasciare il porto?
«Un’operazione di salvataggio si conclude quando tutti i naufraghi sono sbarcati in un luogo sicuro.
Non andrò via da Catania fino a che non si realizzerà tutto questo».
A bordo come ha spiegato la situazione di stallo?
«È stato difficile perché a stento riesco a comprenderla io. È stata fatta una selezione disumana e illegittima dei sopravvissuti che si basa su un decreto illegale».
Illegale perché?
«Perché è una forma di respingimento collettivo, dunque illegale. Come le persone già sbarcate, anche gli altri trentacinque rimasti a bordo sono in situazione di emergenza. Sono fuggiti dalla Libia dove vivevano in condizioni terribili e da allora hanno dovuto sopportare più di due settimane in mare».
Avrebbe mai immaginato uno scenario del genere?
«Mai visto nulla di tutto ciò. Lo sbarco di un bambino e di centocinque minori non accompagnati è stato rapido. Poi è cambiato tutto. I maggiorenni, spesso solo di un anno o due più grandi di chi ha lasciato la nave, sono stati sottoposti a un sommario controllo medico e poi classificati come bisognosi di protezione o meno. Sono valutazioni arbitrarie assolutamente inaccettabili».
Reazioni a bordo?
«Quando si è reso contro che non sarebbe stato autorizzato a sbarcare, uno dei naufraghi ha avuto un crollo. Era privo di sensi, abbiamo dovuto rianimarlo e poi è stato portato in ospedale».
Gli altri come stanno?
«Sono profondamente depressi, frustrati. Si sente a malapena un suono sul ponte, nessuno parla, nessuno ride, come avveniva prima. Chi è rimasto a bordo ha mangiato pochissimo».
Ieri lei ha detto che lotterà perché tutti possano sbarcare.
Fino a dove è disposto a spingersi?
«Io e l’organizzazione che mi ha assunto, la Sos Humanity, in questo siamo assistiti da un team legale italiano. Verrà avviata una procedura d’urgenza di fronte al tribunale di Catania per garantire ai naufraghi di poter chiedere asilo e sarà presentato appello al Tar del Lazio. Ma il nostro principale interesse è che tutti i trentacinque sopravvissuti al Mediterraneo possano sbarcare immediatamente dalla nave».