il Giornale, 6 novembre 2022
Intervista a Pippo Zeffirelli
Cento anni di bellezza, di film memorabili, di spettacoli che sono leggenda, di amare incomprensioni, di fiero anticonformismo. Domani s’inaugura alla Scala di Milano la mostra che avvia le celebrazioni per il centenario della nascita di Franco Zeffirelli (12 febbraio 1923). Con Pippo Zeffirelli, assistente del maestro, poi figlio adottivo e infine presidente della Fondazione che a Firenze ne custodisce l’eredità, ripercorriamo la rutilante esperienza, umana e artistica, di un’esistenza irripetibile.
Franco Zeffirelli la incontrò nel 1968 e l’adottò nel 1999. Come vi eravate conosciuti?
«Mentre facevo il militare a La Spezia vidi al cinema Romeo e Giulietta. Poi, sceso a Roma per trovare mio cugino, che era assistente di Bolognini, me lo presentarono. Solo dopo, però, quando alla tv dissero che aveva avuto un terribile incidente stradale, capii che si trattava del regista di Romeo e Giulietta. Andai a trovarlo in ospedale: questa cosa lo colpì moltissimo. Iniziò un rapporto meraviglioso, che aprì la mia mente, mi donò esperienze incancellabili, e col tempo è divenuto quello tra un padre e un figlio».
La lunga vita di Zeffirelli, tumultuosa e abbagliante, somiglia ai suoi adorati melodrammi.
«Sì, fin dagli inizi. Frutto di una relazione extramatrimoniale, Franco rischia per ben tre volte di morire. Quando la madre rifiuta di abortirlo (il che spiega perché fosse così contrario all’aborto); quando da partigiano sta per essere fucilato dai fascisti, e il padre rivela all’ultimo momento al loro capo che il condannato è, in realtà, suo fratello (anche quel fascista era suo figlio illegittimo); quando con la Rolls Royce di Gina Lollobrigida si schianta contro una roccia, e fa voto a San Francesco di dedicargli un film, se si salverà».
Centrale l’incontro con Visconti. Lo definì «Un Giove, avvicinarsi a lui era come entrare nell’Olimpo».
«Una scuola impagabile. Ma Visconti era anche un uomo complesso: Una serpe, lo definiva la Magnani; un comunista da boutique, per Tennessee Williams. Dopo un furto in casa di Luchino, la polizia mette Franco in gattabuia, senza che Visconti lo difenda. Il vero ladro viene poi scoperto; ma per Franco la ferita sarà profonda. E poi era geloso, possessivo: quando dall’Old Vic telefonano a Franco per offrirgli – primo italiano nella storia del tempio di Shakespeare – addirittura tre regie, Visconti lo smonta. Sei pazzo? Ti rompi la testa!. Proprio questo fa accettare Franco. E sarà lo storico Romeo e Giulietta col debutto di Judi Dench. Ci voleva un italiano, per insegnarci come si fa Shakespeare!, scrive il re dei critici Kenneth Tynam».
Zeffirelli diventa Zeffirelli in Inghilterra. Da noi invece viene deriso, insultato, ostracizzato. Perché?
«Intanto perché viscerale anticomunista. Cattolico, per di più. Quanto bastava, nel rosso mondo dello spettacolo italiano. Da ragazzo chiese al suo maestro Giorgio La Pira se unirsi ai partigiani; il futuro sindaco santo di Firenze gli rispose: Vai, ma ricorda: nazisti, fascisti e comunisti sono tutti la stessa cosa. Si scandalizzava che il 25 aprile si celebrassero solo i partigiani e mai gli Alleati. Sono stati loro, che ci hanno liberati!. Era un anticonformista sano, vigoroso. Ed era fiorentino. Fiorentino, prima che italiano, diceva».
Anticonformista anche nei confronti dei colleghi celebri?
«Ammirava molto Fellini. Di Pasolini ebbe il coraggio di dire quello che pensano in tanti: grande poeta ma pessimo regista. Antonioni e Bergman? Trovava le loro opere belle, ma deprimenti: Perfino nel dramma io vorrei un barlume di speranza. A teatro ammirava molto Strehler, mentre detestava Ronconi e quel suo modo di deformare la recitazione. Anche a Riccardo Muti non le mandò a dire: Grande direttore, ma con tali smanie di protagonismo da scegliersi collaboratori mediocri, pur di brillare solo lui».
Anche l’omosessualità Zeffirelli la visse in modo opposto alla mentalità corrente.
«L’aveva accettata in modo, direi, virile. Senza piagnistei, senza rivendicazioni assurde. Trovava i Gay Pride orrendi, volgari, un carnevale sguaiato che discredita gli omosessuali tutti, anche quelli che, come lui, rifiutano l’esibizionismo, le forzature. Non parliamo poi dell’ideologia gender. Franco era contrarissimo al matrimonio omosessuale, e soprattutto all’adozione dei bambini da parte di due persone dello stesso sesso. Diceva: Ogni bambino ha il diritto sacrosanto, dettato dalla natura di avere una madre e un padre».
Neppure la critica italiana lo amò molto.
«Un episodio la dice lunga, in proposito. Per presentare a Roma il Romeo e Giulietta con Giannini e la Guarnieri riservò l’anteprima esclusivamente ai giovani, escludendo i critici. Loro se la legarono al dito e disertarono lo spettacolo. Che fu un trionfo. Allora Franco pubblicò su un quotidiano un’inserzione. Il successo è stato tale che ringraziamo i critici per il loro disinteresse. Aveva coraggio, Franco».
A volte, però, la sua incontinenza verbale passava il segno, trascinandolo in scandali e polemiche...
«Ahimè. In un’intervista in cui criticò un brutto film di Scorsese, passò per antisemita. Fu un equivoco ma Hollywood non l’ha mai veramente perdonato. Poi ci furono i litigi infiniti con la Juventus, contro la strage dei cavalli al Palio di Siena. Il sindaco della città rivendicò: Col Palio abbiamo salvato tanti ragazzi dalla droga!. Certo – ribattè lui – perché poi la droga la date ai cavalli!. Pensi che quando Franco girò uno special sulla Toscana, il sindaco non gli dette il permesso di entrare a Siena. Allora Franco la riprese dall’elicottero!».
Ostracizzato da intellettuali e critici, ma il pubblico fu sempre tutto dalla sua.
«Ah, non c’è dubbio. Da Romeo e Giulietta, che vinse due Oscar divenendo l’inno dei ragazzi di tutto il mondo, al Gesù di Nazareth, visto da un miliardo di telespettatori e che Paolo VI lodò dalla finestra di piazza San Pietro. I suoi film-opera, Traviata, Otello hanno fatto scuola. Nel teatro ci sono titoli mitici. La Lupa che riportò in scena la Magnani; la Maria Stuarda in cui Valentina Cortese finse di svenire per rubare la scena a Rossella Falk (le due si odiavano); il Sabato, domenica e lunedì in cui Joan Plowright cucinava in scena un vero ragù. E il pubblico inglese, impazzito, a fine spettacolo affollava i vicini ristoranti italiani».
Colossali anche i progetti irrealizzati, e i «grandi rifiuti».
«Pensi cosa sarebbe stata L’incoronazione di Poppea che avrebbe voluto fare con la Callas in Piazza del Campidoglio, a Roma! E poi i Beatles: dovevano scrivere le canzoni e interpretare i fraticelli di Fratello sole, sorella luna! Preparò anche un secondo film su San Francesco, I tre fratelli: l’incontro del Poverello col Sultano. Nel ’69 Albert R. Broccoli gli propose 007 Una cascata di diamanti. Ma Franco girava solo quel che amava. Rifiutò anche Il Padrino: il libro di Puzo gli piaceva, ma aveva della mafia, disse, una visione troppo americana. Ma suggerì alla Paramount un attore provinato per Fratello sole, sorella luna e a malincuore bocciato: Al Pacino».
Lei ha conosciuto anche due icone assolute del suo irripetibile percorso creativo: Callas e Magnani.
«Di Maria diceva È ignorante come una cornacchia. Non è una donna di cultura: è una donna che fa cultura. La Magnani veniva tutti i sabato a cena da noi perché la tata di Franco le faceva i malfatti di ricotta e spinaci. Ma con un diktat: che ci fosse solo lei. Capito, brutto stronzo?. Perché Anna gli parlava così, a Franco. Una sera ci telefona la Callas: Maria – le fa Franco – vieni a cena: ci sono i malfatti!. Troppo tardi si accorge dell’errore. Suonano alla porta, Franco va ad aprire. Maria... di là c’è anche la Magnani.... Anna? Il mio idolo!. La Magnani si scioglie. Chi far sedere alla destra di Franco? Maria, ti spiace se ci metto Anna? Sai: lei è molto, molto più anziana di te. Ma certo Franco: è ovvio!».
Com’è stato vivere accanto a una persona così singolare, e in un simile mondo dorato?
«Non sempre facile, ma meraviglioso. Rimpiango che Franco non avesse con sé la macchina fotografica mentre girava i night con Coco Chanel, o quando pranzò in Central Park con Marilyn Monroe, o portò Robert Kennedy a ballare al Piper, a Roma. Franco amava essere una star. Aveva sempre attorno tanta gente, conseguenza della solitudine patita da orfano, e bella gente: magari la stessa sera c’erano la Fracci, la Streisand, Sordi, la Masina, le Kessler... Una volta piombò a mezzanotte in casa di Marina Cicogna con Ava Gardner, Maggie Smith e Mia Farrow! Memorabile la follia di Rudolf Nureyev che, suo ospite a Positano, va a fare il bagno di notte e per errore viene chiuso fuori casa. Per vendetta spacca furioso le maioliche di Franco, e i due si pigliano a sberle. Risultato: la mattina dopo lo scandalo finisce sul New York Times».
Un attivismo fervido, una creatività inesauribile. Ma arriva per tutti il momento di fermarsi...
«Franco era credente. Pregava tanto, ogni sera. Ciononostante, come tutti, aveva paura della morte. Un giorno, quando non riusciva nemmeno più a scrivere (dava la colpa alle penne: Non funzionano!) seduto in giardino mi prese la mano. Pippo caro, tra poco non potrò più godere di tanta bellezza. Però pensava anche che ognuno di noi è sempre esistito. E sempre esisterà. E non è già questa, in fondo, un’intuizione dell’eternità?.