Avvenire, 6 novembre 2022
New York potrebbe diventare repubblicana?
Lo scorcio di Coney Island con la grande ruota panoramica e l’ottovolante che Fredo sta diligentemente ritraendo sul retro di quella che all’origine era una scatola di cioccolatini finirà tra breve in vendita a 5 dollari come tutte le altre.
«Non tutti hanno fiducia nella pittura, ma tutti credono nella fotografia. Sai chi l’ha detto per primo?» No. «L’ha detto Ansel Adams, e aveva ragione». Senza volerlo Fredo ha enunciato la perfetta metafora dell’America, che oggi, a una manciata di ore dalle elezioni di midterm, si svela impaurita e confusa nell’istantanea impietosa di un Paese lacerato e diviso e sempre meno incline all’illusione incantatrice delle idee. «Non fosse – come scrive Carlos Lozada sul New York Times – che proprio ciò che sembra vero è l’esatto opposto: come la “Big Lie” di Donald Trump». Già, la Grande Bugia, che con meticolosa insistenza lo sconfitto Trump ha spennellato nell’immaginario collettivo di moltissimi americani, i quali oltre a corbellerie come le strie chimiche o il complotto mondialista di QAnon credono fermamente – o fingono, ma il risultato è identico – nello scippo elettorale perpetrato due anni fa da Joe Biden ai danni del presidente uscente. Almeno 300 fra i candidati repubblicani alla Camera e al Senato sono “election deniers”, ovvero negazionisti che ritengono Biden un usurpatore. Ma che fine ha fatto la New York multietnica che flirtava con la stampa liberal, che metteva ai margini i parvenu arroganti come “The Donald”, che si turava il naso passando davanti alla Trump Tower sulla Fifth Avenue, dove il magnate risiedeva e faceva affari in un’orgia meta- kitsch di dorature tra barocco brianzolo e scrivanie Mazzarino stile-Luigi XIV, senza tralasciare i rubinetti dorati d’ordinanza? Dove sono finiti i pronipoti di Tammany Hall, da un paio di secoli la fabbrica del consenso dem?
Vagabondando a piedi da Long Island a Manhattan passando per Brooklyn si imparano molte cose. La prima che si coglie nell’aria sfrigolante di un’impalpabile ansia collettiva è la grande disaffezione del ceto medio per i valori dem. «Con un tasso di inflazione a questi livelli, con un’economia che rischia la recessione, con il costo della vita alle stelle chi dovremmo votare, chi vogliamo premiare?», dice Rodney, italiano di terza generazione, elettrauto titolare a Bensonhurst di un’officina con tre dipendenti, perfetto esempio di come i temi su cui hanno puntato i democratici – l’aborto, l’immigrazione, il controllo sulla libera vendita di armi – siano passati in secondo piano. Peccato che economia, inflazione, sicurezza siano materie che il Grand old party maneggia con perizia e più esperienza dei dem. E se il richiamo allarmato di Biden – «Make the America Great Again è un pericolo per la democrazia» – non scuote l’elettorato repubblicano, a due anni dall’inizio del suo mandato e con un miserrimo 40% di consenso popolare la voce di «Sleepy Joe» voce giunge flebile e distorta alle orecchie dei moderati e dei democratici. Con un effetto speculare a quello dei repubblicani: come il Grand old party è ostaggio dell’ala estrema dei trumpiani di Capitol Hill, anche i dem sono frastornati dalle minoranze rumorose che ne agitano le periferie: come la rivelazione del 2018 Alexandria Ocasio-Cortez, capofila di una fronda radical guidata dal senatore del Vermont Bernie Sanders, che sfidò la Clinton nelle primarie del 2016 e di nuovo Biden in quelle del 2020, lasciando nell’elettore moderato della middle class l’ancestrale sospetto che il bolscevico stia bussando di nuovo alla porta di casa. A Park Slope invece il dem d’origine controllata e garantita c’è ancora. Nel bel quartiere di Brooklyn dove abitò lo scrittore
Paul Auster (uno dei più celebrati cantori dell’angoscia identitaria del newyorkese) si respira una tranquilla aria di fiducia nella saggezza umana.
«I repubblicani qui non vincono mai», assicura Margaret Leary, sessantenne, single, attivista pro diritti umani, amica (così dice) dell’ex sindaco De Blasio. «I democratici avrebbero bisogno di un Frank Lloyd Wright, uno che non copiava i classici come facevano gli inglesi e i francesi e nemmeno il modernismo dei tedeschi. Un leader così, capace di reinventare la politica senza ingessarsi nel ricordo del passato come ha fatto Hillary Clinton e come in fondo è Biden stesso, ci riporterebbe in cima alla collina». Già, ma la “City upon a Hill”, la città evangelicamente posta sulla collina (Matteo 5:14-16) che i padri fondatori avevano eletto a mito fondativo del Nuovo Mondo è stata sfigurata ed espugnata dagli sciamani cornuti del 6 gennaio e dal loro empio pensiero magico. A dire il vero un leader come quello immaginato dalla signora Leary i dem l’avevano avuto, e si chiamava Barack Obama. Che non a caso è sceso in campo nelle ultime ore: «In tutto il Paese – ha detto durante un comizio in Georgia – alcuni di quelli che hanno cercato di minare la nostra democrazia si stanno candidando per le cariche che supervisioneranno le prossime elezioni. E se vincono, non si può dire cosa potrebbe accadere».
Anche i repubblicani hanno scoperto un nuovo leader, ma non è un politico: si tratta di Elon Musk, che un tempo i dem adoravano, considerandolo l’apostolo del climate change futurista ed ora che ha acquistato Twitter e licenzia metà del personale lo vedono per quello che è: una copia conforme dei Rockerduck delle ferriere, che subito ha conquistato il cuore del Grand old party: giusto ieri sono emersi nuovi dati incoraggianti sull’occupazione. Un cuore che sta diventando avaro di aiuti per la stessa Ucraina: «Troppi soldi per una guerra che non è la nostra», dice Lenny, che fa il libraio in Union Square e darà il voto ai repubblicani. Su questa stessa piazza c’è, l’antica sede di Tammany Hall, il severo edificio neo-georgiano cuore del potere dem dei tempi che furono. Un potere ormai sfibrato, evanescente.
Fra due giorni si voterà a New York e nel resto di un Paese che non dispone più di eroi, ma solo di silhouette incarognite, a cominciare dai due grandi rivali che stanno per confermare la propria ricandidatura alla Casa Bianca.