Avvenire, 6 novembre 2022
La chiesa dei neocatecumenali in Bahrein
Che il Cammino neocatecumenale sia una presenza importante in Bahrein è facile capirlo guardando l’interno della Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia ad Awali, dove il Papa ha presieduto l’incontro ecumenico e la preghiera per la pace venerdì pomeriggio. Si tratta della chiesa costruita sui 9mila metri quadrati di terreno donati dal re del Bahrein e la cui estetica è eloquente: è stata progettata da un gruppo di architetti guidati da Mattia del Prete, stretto collaboratore di Kiko Argüello, co-iniziatore del Cammino neocatecumenale, e lo stesso Kiko ha dato la sua assai riconoscibile consulenza artistica. «Siamo in quest’area da otto anni, in particolare siamo presenti in Kuwait, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi» spiega don Rino Rossi, coordinatore dei Neocatecumenali nel Golfo Persico, «siamo qui grazie all’opera di quel grande vescovo e missionario che è stato Camillo Ballin, che ha guidato il vicariato apostolico dell’Arabia settentrionale fino alla sua prematura scomparsa due anni fa. Monsignor Ballin, comboniano, aveva conosciuto il Cammino neocatecumenale negli anni in cui era stato parroco al Cairo. Aveva visto i frutti di questa proposta cristiana e quando era stato chiamato a lavorare come pastore nella Penisola Arabica aveva pensato che il Cammino potesse essere efficace in quel contesto».
La gratitudine verso l’opera di Ballin affiora continuamente parlando con i cattolici presenti in Bahrein. «Io sono originario di Treviso e lui era padovano, io sono del 1951 e lui era del 1944, ci univa il nostro essere veneti e pressapoco della stessa generazione – continua il suo ricordo don Rossi – da giovani abbiamo preso strade molto diverse, per poi trovarci insieme in questo angolo di modo. Io sono partito nel 1974 per l’America Latina come laico del Cammino neocatecumenale, sono stato in Repubblica Dominicana, Costa Rica, Panama, Haiti, poi sono tornato a Roma per diventare sacerdote. Ballin, quando stava per finire la formazione nei comboniani e gli avevano chiesto in che zona volesse essere inviato, aveva indicato senza esitazione i Paesi arabi. Sognava le terre della prima predicazione cristiana e quelle in cui san Daniele Comboni si era più speso come il Sudan, dove visse diversi anni. L’esperienza più lunga la fece comunque in Egitto. Imparò presto e molto bene l’arabo e questo gli permise, anche da vicario apostolico, di muoversi abilmente e di farsi apprezzare per la sua saggezza e la sua cultura. Divenne veramente amico del re del Bahrein e la donazione del terreno per la Cattedrale,
un gesto unico, lo dimostra».
Anche don Rossi come altri sottolinea lo spirito di tolleranza e gli agi del Bahrein «è un Paese con un tenore di vita alto anche se non come negli Emirati; tantissimi arrivano qui dall’Arabia Saudita nel fine settimana perché trovano uno stile più rilassato» – che però cela «catacombe di sofferenza» fra quanti arrivano dall’estero per lavorare: «Ci sono uomini che stanno qui anche 20 anni vedendo le loro famiglie solo 20 giorni all’anno in estate. Ci sono situazioni di sradicamento che espongono a tanti pericoli. Non pensi che sia una società più protetta rispetto all’Italia. La droga c’è anche qui, c’è di tutto, i vizi oggi sono globalizzati. Noi come Cammino neocatecumenale cerchiamo di offrire una presenza cristiana che sia di ancoraggio per la fede e per la vita. Abbiamo comunità composte da italiani, indiani, libanesi, pakistani... veramente variegate. In questo mi sembra che la Chiesa in Bahrein, come negli altri Paesi del Golfo Persico, sia un laboratorio per il futuro. Anche in Europa avremo Chiese sempre più plasmate dalle migrazioni e in contesti non cristiani».
Don Rino pensa con gratitudine al Papa e al rapporto che sta coltivando con le massime autorità islamiche e i regnanti arabi: «San Francesco otto secoli fa andò a San Giovanni d’Acri e poi a Damietta per incontrare il sultano. Era un momento molto complicato, la quinta crociata, uno scontro in atto tra occidente e oriente. Ma Francesco colpì il sultano per la sua umiltà, per il suo avanzare scalzo nel nome del Signore. Oggi il Papa che porta lo stesso nome sembra seguire quell’esempio con successo».