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 2022  novembre 04 Venerdì calendario

Intervista a David Quammen - su "Senza respiro. La corsa della scienza per sconfiggere un virus letale" (Adelphi)

Bozeman (Montana). L’antro in cui lavora ha due santi protettori dichiarati: Charles Darwin, il cui faccione incorniciato è appoggiato su un bel Kilim rosso, e William Faulkner, fotografato a mezzo busto, che occhieggia più discreto da una mensola. Il metodo scientifico e le parole per dirlo. È l’unione programmatica di questi due talenti che ha fatto di David Quammen uno dei più fortunati divulgatori di temi naturalistici sin da quando si faceva strada a colpi di machete in qualche giungla per conto del National Geographic o seguiva gli studiosi di pipistrelli in qualche caverna, "vicinissimo, ma con le mani dietro alla schiena", nella speranza che non chiedessero anche a lui di mestare nel loro guano in cerca di qualche virus. Che il salto di specie tra animali e uomini, lo spillover appunto, avrebbe potuto causare danni incalcolabili l’aveva scritto in un libro omonimo del 2012. Che sembrava fantascienza sin quando non è diventata cronaca.

Il volume è stato tempestivamente ristampato e gli è valso l’impegnativo titolo di profeta. Titolo che indossa con consumata modestia ("Mi conosce giusto un sottoinsieme dei lettori appassionati di queste cose"), nonostante fosse finito nella classifica dei bestseller del New York Times già allora e poi abbia venduto benissimo nel mezzo del lockdown (l’edizione italiana su Amazon ha oltre duemila recensioni, lo stesso numero di quella americana originaria). Ma non abbiamo fatto tutta questa strada per parlare del suo passato editoriale, quanto di Senza respiro, in uscita sempre da Adelphi. Una poderosa ricostruzione, minuto per minuto, di come la scienza abbia reagito di fronte a un problema inedito e, in tempi incredibilmente brevi - da qui il parossismo evocato dal titolo - abbia sostanzialmente vinto.  A Moderna sono bastate nove settimane, nove settimane e mezzo, per passare dal sequenziamento del genoma alla prima iniezione nel braccio di un essere umano per il primo trial clinico del vaccino. Che non è stato abbastanza per risparmiare al mondo almeno 6,5 milioni di morti di Covid-19, ma dà la misura dell’ulteriore carneficina scampata. Una pandemia che si è presto trasformata in infodemia, avvelenando la sfera pubblica con teorie della cospirazione o semplici leggende che Quammen prova a smontare. "Ha paura dei cani?" mi chiede sulla soglia della sua bella casa in un placido quartiere della città, perché ne ha due. 

Poi, come se fossero categorie equivalenti, "e dei serpenti? Ho un pitone di un metro e mezzo che tengo in una gabbia di vetro". Boots, si chiama, e passa le giornate a dormire, tranne rivitalizzarsi una volta al mese quando il padrone lo titilla con un topo congelato che inghiotte d’un boccone. Lo studio di Quammen ha una piccola finestra sul cortile, la scrivania stipata di taccuini neri con il bordo rosso che usa per gli appunti, paper, libri dappertutto.La pandemia non è stata una sorpresa per tutti. Era già, scritta a caratteri di scatola, nel sottotitolo di un suo libro di dieci anni fa. E in Senza respiro cita un discreto numero di scienziati che l’avevano vista arrivare: perché non è bastato?
"Perché politicamente siamo stati impreparati. Nel febbraio 2020 stavo tornando dalla Tasmania dove facevo ricerche per un altro libro su come i tumori, in determinate condizioni, possano essere contagiosi. E mi aspettavo, dopo la Sars, la Mers e le altre epidemie recenti, che avrei trovato all’aeroporto un plotone di addetti armati di tamponi. Invece niente. Per non dire che anche i Center for disease control and prevention (Cdc) avevano sviluppato un tampone sbagliato che ha rallentato gravemente la nostra capacità di risposta. Oltre, sopra tutto, a un presidente imbecille e infantile che ha messo il suo tornaconto politico, il fatto di non disturbare Wall Street, sopra la salute dei cittadini".

Anche in Italia, pur in assenza di alcuni di questi ingredienti, non è andata benissimo...
"Nonostante un leader decisamente migliore, errori sono stati commessi, tipo aver consentito la partita Atalanta-Valencia, con 40 mila persone che si alitavano sul collo. Oltre al fatto che il vostro nord ha pagato l’essere un hub commerciale importante, con tanti contatti con la Cina. Un po’ come lo era Wuhan stessa, da dove partivano treni ad alta velocità per il resto del Paese. Con una parte non irrilevante del disastro dovuto alla ritardata comprensione del ruolo degli asintomatici".

Lei ha intervistato 95 scienziati, via Zoom (perché eravamo tutti bloccati a casa), per un’ora, un’ora e mezza ciascuno. Ne viene fuori la risposta collettiva di individui che si coordinano tra di loro più che di istituzioni, o sbaglio? Su cui torreggia un Anthony Fauci che lei descrive come uno che ha "tanto acciaio nella spina dorsale e antigelo nelle vene che potrebbe aver comandato la famiglia mafiosa Gambino, se non fosse stato tanto etico, o essere diventato generale superiore dei gesuiti". Quasi troppo, no?
"Fauci ha avuto il merito enorme di aver resistito alla disinformazione messa in giro dal presidente a costo di minacce pesanti, via social, contro di lui e famiglia. È stato un argine importantissimo. Per il resto, a forza di lavorare su questi temi, conosco ormai molti tra i migliori virologi al mondo. E in tanti hanno risposto alla mia email quando, a dicembre 2020, ho deciso di rimandare il libro sul cancro per dedicarmi a questo. Sì, è la rivincita dei laboratori, delle scuole individuali sulle istituzioni tipo Oms. Qui gli eroi hanno tutti nomi poco noti al grande pubblico. Come l’australiano Eddie Holmes, specialista di virus a Rna; o il britannico Andrew Rambaut che riceve da lui il primo sequenziamento del genoma; o come K. W. Yuen, che studiando il caso della Diamond Princess intuisce l’importanza degli asintomatici; e la cinese Zhengli Shi, l’esperta di pipistrelli che aveva già scoperto cose fondamentali sulla Sars".

Ecco, quest’ultima è l’unica di cui ho sentito parlare anch’io circa l’ipotesi della "fuga accidentale" dal laboratorio di virologia che dirige a Wuhan. Lei, che dichiara programmaticamente di non aver neppure tolto le ripetizioni nel parlato degli intervistati perché anche quelli sono dati e "i dati sono sacri", quando scrive di Shi che assicura di non aver avuto mai un virus del genere nel suo laboratorio, commenta dicendo: "Mi fido, anche se non lo posso provare". Un bel salto fideistico, no?
"Non direi. L’ho intervistata, non mi è sembrata sulla difensiva ma piuttosto adirata che si dubitasse di lei. Così, per onestà col lettore, ho dichiarato la mia sensazione che, a sua volta, è un dato, ancorché non particolarmente solido. Possiamo costantemente mettere in dubbio la buona fede delle persone, ma è un gioco che rischia di non finire mai. Quanto alle insinuazioni che sarei suo amico solo perché la conosco professionalmente da anni, si potrebbe dire anche di Matt Ridley, che con Alina Chan è un gran sostenitore della tesi lab leak. Così come sono senz’altro amico di Peter Daszak, sostenitore invece dell’origine naturale. La mia è una fenomenologia basata sui fatti. E sin qui nessuno ha portato prove del fatto che il virus sia uscito dal laboratorio. Mentre sappiamo che nel mercato di Wuhan si vendevano illegalmente cani procioni, tutti rivelatisi positivi al Covid. E un altro fatto è che il mercato sia stato sigillato prima che si potessero fare verifiche indipendenti".

Un’amica giornalista che si è molto occupata della vicenda propone di applicare il rasoio di Occam, il principio di parsimonia che, tra le tante possibili, predilige le soluzioni più semplici. Quindi: di tutti i posti possibili il virus è partito proprio dalla città che ospitava, a 14 chilometri dal mercato, uno dei più importanti centri di virologia che lavorava su virus simili. E conclude: strana coincidenza, no?
"Io stesso scrivo di incidenti avvenuti in altri laboratori, con ricercatori che per sbaglio si sono bucati con una siringa e così via. Però Zhengli Shi è una ricercatrice la cui carriera è determinata dal pubblicare, non occultare, gli studi sui virus. Quanto a Occam, un altro modo di usarlo è chiedersi: com’è che, dei primi 41 positivi, 27 avevano un legame diretto con il mercato? Detto questo, nel libro presento varie opinioni diverse e provo a spiegare perché mi convince di più l’ipotesi dell’origine naturale. Anche se potremmo non arrivare mai a una verità conclusiva su questo punto".

Su questo possiamo essere tutti d’accordo. Con le mie limitate risorse scientifiche si tratta di una montagna troppo erta per provare a scalarla da soli. Mentre Quammen è uno che si occupa di queste cose da un quarto di secolo abbondante, circostanza che gli ha conferito un controllo stupefacente della materia, sebbene si sia laureato in lettere a Yale e poi dottorato a Oxford sul formidabile autore di Furore. E a proposito di montagne, questo settantaquattrenne che ne dimostra dieci di meno e che si è rifatto da poco due ginocchi in titanio ("L’altra opzione era infiltrarli con cellule staminali, ma costava 12 mila dollari di tasca mia, quindi ho preferito la formula classica coperta dal Medicare, l’assicurazione per gli over 65"), per spezzare la nostra lunga conversazione mi porta a fare una passeggiata in un bosco poco fuori città dove cammina spesso. E che dà sul Gallatin River, dove fino a pochi anni fa veniva in kayak coi suoi amici, in un quadretto che mi ha fatto tornare in mente Con tutta quell’acqua a due passi da casa, il racconto di Raymond Carver dove tre amici vanno a pescare e, sebbene trovino un cadavere, non ne denunciano subito il rinvenimento perché ciò rovinerebbe il loro weekend. "Beh, se è per quello una volta un morto l’abbiamo trovato anche noi qui. Così gonfio da essere irriconoscibile. E, dopo molti mesi, un mio amico ha trovato addirittura una gota umana. Forse apparteneva alla stessa persona e forse no". Ordinaria amministrazione in questo remoto angolo d’America che spiega perché, dopo un apprendistato del genere, anche andare nelle caverne a ravanare nelle feci dei Rhinolophus, i pipistrelli ferro di cavallo, diventa una delle tante occupazioni possibili. Ma torniamo nello studio con Boots, il letargico pitone da compagnia.

Nel libro parla di due scuole di pensiero su come prepararsi alle prossime pandemie: quella della “previsione e prevenzione” contro quella della “sorveglianza e risposta rapida”. Ci spiega meglio in cosa consisterebbero?
"La prima punta più su un monitoraggio costante di ogni possibile caso di virus animale, con tanto di sequenziamento, per cercare di intercettare quelli con maggiore potenzialità di passare agli umani e cercare di intervenire prima dello spillover. Mentre la seconda consiste nel censire i focolai sospetti di malattie umane, mettere in piedi la cosiddetta "sorveglianza attiva", un sistema di test rapidi e tamponi, con protocolli ben oliati di quarantena se necessari. Sarebbe bello poterseli permettere entrambi ma, realisticamente, mi sembra che il secondo consenta una gestione più razionale delle risorse". (Bill Gates, nel suo Come prevenire la prossima pandemia, ha anche battezzato Germ un analogo sistema mondiale di risposta rapida, che dovrebbe avere 3.000 dipendenti e costerebbe un miliardo di dollari all’anno, ovvero meno di un millesimo della spesa mondiale per la difesa).

Lei denuncia anche una spaventosa disuguaglianza nella distribuzione dei vaccini. A metà dell’anno scorso, quando nel primo mondo il 43 per cento l’aveva ricevuto, nei Paesi a basso reddito erano fermi all’1 per cento. Come se ne esce: liberalizzando i brevetti?
"Nel libro racconto per filo e per segno il miracolo di velocità che realizza Moderna (a proposito, il nome è un composto di Rna), un’azienda privata, a fini di lucro. Proteggere i diritti di proprietà intellettuale è importante, perché incentiva l’innovazione, ma l’equità nella distribuzione dei vaccini è ancora più urgente. Pertanto, coloro che detengono i diritti sui vaccini dovrebbero essere disposti a moderare le loro pretese per il bene della salute pubblica globale. Ci piace detestare Big Pharma, ma senza di loro dove saremmo ora? Quanto alla diffusione nei Paesi poveri, decisivo sarà lo sviluppo di vaccini che non necessitino di una logistica complicata per la loro conservazione. Ovvero in gocce da mettere negli occhi, pasticche o cerotti: cose che possano essere trasportabili, in moto, nei villaggi più remoti. C’è bisogno dei privati e dello Stato, insieme, come dimostra il progetto Warp Speed che, con un finanziamento iniziale di 10 miliardi di dollari dei contribuenti, ha facilitato la ricerca di un vaccino in tante direzioni diverse".

A partire dal titolo del libro, lei dice che siamo stati velocissimi a rispondere. Ma come possiamo essere ancora più veloci la prossima volta?
"I primi vaccini si sono dimostrati efficaci nel 95 per cento dei casi nell’evitare che le persone finissero in ospedale in forme gravi. In futuro potremo cominciare a produrne di nuovi prima ancora che i trial clinici siano completati. La garanzia di Warp Speed era proprio che, se le sperimentazioni non fossero andate a buon fine, lo Stato avrebbe rimborsato i privati. I vaccini a Rna sono molto promettenti per malattie che ancora non conosciamo. Da tempo si lavora a possibili sieri per la cosiddetta Disease X, ovvero una patologia ignota che potrebbe essere causata da qualche forma di influenza, difficile da immaginare in anticipo perché infinitamente mutevole, o di coronavirus".

Molti degli eroi del suo libro sono stati già protagonisti di epidemie precedenti, dall’Ebola in giù. Ci sono voluti ottant’anni dalla Spagnola alla Sars, mentre solo venti da quest’ultima al Covid. Sembra che il ritmo si stia intensificando: perché accade?
"Io lo chiamo il rombo di tamburi e sì, si intensifica. Essenzialmente per due motivi. Intanto perché ci facciamo più attenzione e morti che prima potevano accadere senza attribuirle alla stessa causa oggi sono comprese meglio. Ma soprattutto perché siamo più numerosi e sempre più interconnessi. Nel 1918 la Spagnola fu portata qui da soldati di ritorno dalla Prima guerra mondiale. Oggi praticamente ogni giorno si sposta un numero di persone analogo. E i risultati di questa globalizzazione si sono visti a Wuhan come nel nord d’Italia. Una possibile risposta sistemica comprende quella che molti suggeriscono per non peggiorare le sorti del pianeta. Ovvero: fare meno figli, prendere meno aerei e mangiare meno carne (tantomeno di animali selvatici). Sembra poco ma sarebbe tanto e, soprattutto, sono azioni alla portata di ogni cittadino. Io stesso sto accettando meno inviti per andare a presentare il libro all’estero, proponendo in alternativa incontri via Zoom".

Il messaggio finale è che sperare di sbarazzarsi dei virus è  assurdo dal momento che compongono l’80 per cento del nostro Dna e svolgono funzioni essenziali per la nostra sopravvivenza. Non è sempre vero, sostiene, che un virus sia "una cattiva notizia rivestita di proteine". L’unica è conviverci, gestendo i prossimi focolai prima che si trasformino in incendi. A proposito: quale virus ha maggiori potenzialità pandemiche per il futuro?
"Molti virus possono preoccupare. Dal Nipah, che dai pipistrelli della frutta è già saltato ai maiali e anche agli umani, al Paramyxovirus, famiglia che comprende il morbillo. Parlando con gli esperti, però, oggi circola di nuovo, e molto, l’influenza aviaria, in particolare l’H5N1. Per il momento con poche mutazioni tali da renderla adattabile all’uomo. Ma con così tanti potenziali ospiti che le conferiscono enormi occasioni di evolvere e di fare salti zoonotici disastrosi, considerato che la sua mortalità è di oltre il 50 per cento. Contro l’1 per cento del Covid. C’è l’imbarazzo della scelta ma, dovessi fare una scommessa, oggi la farei su quella. Sperando ovviamente di perderla". Siamo stati avvisati.