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 2022  novembre 05 Sabato calendario

Intervista a Pif - su "La disperata ricerca d’amore di un povero idiota" (Feltrinelli)

Arturo Giammarresi lavora come un pazzo, da anni, al dipartimento marketing di una multinazionale di dolciumi. Una sola grande passione, le citazioni. Da Camus a Battiato, da Eschilo alla Mannoia, a Mae West («Tra due mali scelgo sempre quello che non ho provato prima», giusto per dirne una): sono la sua «autodifesa», il modo che ha scelto per esprimersi e raccontarsi, dare voce ai sentimenti e alle ambizioni. Ha dedicato il suo tempo più al lancio di una nuova tavoletta di cioccolata che alla ricerca di una compagna, ma arrivati i quarant’anni ha deciso che è ora di trovare la fidanzata giusta. Ha un debole per Olivia, la ragazza della mensa dalle labbra perfette. E gli pare anche di essere ricambiato, come si spiegherebbero altrimenti quelle porzioni tanto generose che gli riserva, se non come una dichiarazione di interesse? Peccato che, proprio quando ha deciso di dichiararsi, incontri un vecchio (e odiato) compagno di scuola. È un ingegnere informatico al lavoro per la sua stessa azienda su un progetto segreto, una app che consente di individuare l’anima gemella, iniziando così una relazione senza rischi, destinata a funzionare.

La vita di Arturo diventa in un attimo La disperata ricerca d’amore di un povero idiota, il nuovo romanzo di Pif. Perché MysApps di donne ideali gliene trova ben sette, diversissime per latitudine, carattere e fisicità e lui, incapace di vedere chi ha davanti agli occhi, decide ostinatamente di incontrarle. Da Silvia, senese devota al palio, ad Astrid, disinibita svedese, da Simona, bionda salentina aspirante cantante, a Birgit, algida groenlandese, Arturo inventa pretesti per conoscerle e farsi avanti, fra perplessità evidenti (ma l’app mica avrà sbagliato), gaffe, maldestri tentativi di sabotaggio ai danni di possibili rivali.

Ci sono in queste pagine, che scorrono via divertenti e ironiche, tanta letteratura e un po’ di cinema (magistrale la «balla» che Arturo inventa per giustificare la sua presenza a Siena, plasmandola perfettamente sulla trama di un celebre film americano, che solo la ragazza di turno pare non avere visto e riconoscere). Ci sono manie, vizi e virtù. E ci sono i «tipi» che ci stanno intorno: l’amico super romantico che cerca invano di dissuaderlo da una folle impresa; il collega «fancazzista» che abita ogni ufficio, quello che tutti i giorni trova un pretesto per piantare grane e fare rivendicazioni; l’antagonista arrogante e di successo cui sembra andare sempre tutto bene. Pif ha confessato che nella sua testa scrive sempre soggetti di film.

L’INTERVISTA

Non è un tipo romantico e lo mette in chiaro subito, dato che oggi gli tocca parlare d’amore: «Noi diciamo “è la donna (o l’uomo) della mia vita, ma in realtà è semplicemente quella che abbiamo incontrato». Di Pierfrancesco Diliberto, per tutti Pif, si fa prima a dire cosa non è, perché l’elenco di quello che fa è lungo: scrittore e sceneggiatore, attore, regista, autore e conduttore televisivo e radiofonico, da due anni anche papà di Emilia. È uno che lascia il segno su tutto quello di cui si occupa: che si tratti di politica, ingiustizie o di cantare Bella ciao, non la manda a dire, le dice. È più che un Testimone (come si intitola la sua celebre trasmissione tv) di quello che gli accade intorno e, con l’ironia libera e un po’ caustica che è la sua cifra, denuncia, ci mette la faccia. Nel suo terzo libro, La disperata ricerca d’amore di un povero idiota, torna ancora un volta Arturo Giammarresi, il suo alter ego. È stato il giovane cronista di La mafia uccide solo d’estate; il soldato che nel ’43 sbarca in Sicilia con gli Alleati di In guerra per amore; il manager rampante che perde tutto e diventa rider di E noi come stronzi rimanemmo a guardare (anche se lì il volto era quello di Fabio De Luigi). Arturo è anche l’agente immobiliare protagonista del primo romanzo di Pif, Che Dio perdona a tutti, che per conquistare la pia Flora decide di seguire alla lettera la parola del Signore. Qui è un impiegato sulla soglie dei 40 che per trovare l’anima gemella, pur avendone una a portata di mano, si affida a una app che gliene suggerisce sette in giro per il mondo.

Questo “nuovo” Arturo Giammarresi che tipo è?
«Resta quello che affronta limiti e contraddizioni dell’umanità. A questo giro sono stato un po’ meno bigotto e l’ho “usato” per una constatazione: penso che gli eventi belli o brutti della vita siano una casualità. Non essendo religioso, sono agnostico, non do un significato divino a quello che mi succede. E non solo riguardo alla coppia. Ci ho riflettuto spesso: quelli che pensi essere gli amici veri, magari lo sembrano perché non sono stati mai messi alla prova».

Non è un po’ cinico?
«Eh sì, anche per quel che riguarda me. Dico sempre “Avrei fatto il partigiano”, ma vallo a sapere se mi fossi trovato in guerra davvero. Bisogna viverla una situazione per capire di che pasta si è fatti».

Stiamo degenerando. Torniamo all’amore?
«Tutto nasce dalla mia giovanile esperienza londinese, che un po’ racconto nel romanzo. Ho pensato: se avessi incontrato una ragazza inglese, avrei fatto dei figli con lei e sarei rimasto lì. C’era una spagnola che mi piaceva tanto, potevo finire a Madrid. E invece sono tornato in Italia. Se sei romantico attribuisci tutto al destino, se sei credente al volere di Dio...».

E se sei Pif dici: “È capitato”?
«Non voglio sminuire una storia d’amore, anzi rilancio. Proprio il sapere che intorno a noi ci sono tante anime gemelle è uno stimolo in più per rafforzare la relazione con quella che hai trovato. Il rapporto di coppia, alla fine, è un lavoro. Va quotidianamente rinsaldato. Parlo come un perfetto amante, anche se magari questo romanzo verrà contestato dalle mie ex. La vicenda è un po’ frutto di errori miei, non tutta finzione».

Arturo è uno che parla per citazioni.
«È il mio sogno, solo che me le scordo sempre. Io leggo quasi esclusivamente per lavoro e anche questa volta ho fatto così, anzi, se trovavo una citazione che mi piaceva particolarmente modellavo la trama per farcela entrare».

Un debole per Schopenhauer? Torna più volte.
«Grandissimo! Sono davvero fighe le sue frasi. Perché fa delle riflessioni moderne, molto contemporanee».

Posso farle io una citazione? “Quando sono diventato padre ho capito due cose: la prima che avrei dovuto difendere mio figlio dalla malvagità del mondo; la seconda che avrei dovuto insegnargli a distinguerla”. Di chi è?
«Di un filosofo siculo, molto bravo, bello e intelligente. È mia! Cioè dell’Arturo di La mafia uccide solo d’estate. Allora non sapevo quanto fosse vera, oggi sì. L’avevo scritta immaginandomi padre, mentre tutto pensavo salvo che diventarlo, era una cosa molto lontana da me. E invece, quando accade, hai immediatamente paura di non essere, un giorno, nella possibilità o nelle facoltà di difendere tua figlia, tenti di darle gli strumenti per farlo da sola».

Arturo a un certo punto deve organizzare la sua festa di compleanno e compila febbrilmente elenchi di invitati, dice di sentirsi come il premier incaricato della formazione del governo che deve “salire al Colle e comunicare i nominativi al Presidente della Repubblica”. Solo che lui è molto insicuro
«E la Meloni no. Però non è stata spavalda. È palese dalla mia storia e dalle mie dichiarazioni pubbliche che non sono della sua parte, anche se per lavoro ho avuto modo di incontrarla due volte e devo ammettere che, al netto delle idee politiche, è una delle persone più simpatiche che abbia conosciuto. È una “dritta” nelle sue cose, ma l’emozione la rende umana. E a me le persone così piacciono. Mostrare le fragilità in un periodo in cui tutti dobbiamo fingere sicurezza mi sembra una grandissima cosa, non vuol dire che non sarà all’altezza. Detto questo avrei preferito un governo di sinistra: non mi spaventa tanto lei, quanto chi le sta intorno».

Pur non essendo un maschilista, il suo protagonista quando va in Svezia ha paura di essere troppo poco femminista per un Paese scandinavo. Lei come si pone, soprattutto riguardo alle polemiche sull’uso delle parole: “il” presidente, “la” presidente?
Tendenzialmente sono un femminista, “in un’età di mezzo”. C’è in atto una rivoluzione epocale e la questione è sia culturale che generazionale. I grandi cambiamenti non vanno ostacolati, sta alla nostra intelligenza trovare un equilibrio, perché si rischiano sempre degli eccessi, dei paradossi. Certo che, per fare un esempio diverso, quando vedi una direttrice d’orchestra che si ostina a definirsi al maschile, mentre il termine corretto esiste, allora lì diventa più una questione ideologica che linguistica».

Che rapporto ha con la tecnologia? Usa le app?
«Ne sono dipendente, nonostante abbia fatto un film che lancia l’allarme sugli algoritmi e sulla loro deriva pericolosa. Per uno pigro come me sono comodissime. Vuoi mettere pagare un bollettino o fare un bonifico senza uscire di casa!».

Avesse dovuto farlo lei il ritratto dell’anima gemella per partecipare al test?
«Nel diario di me bambino, mia madre ha trascritto che a tre anni avevo già gusti molto definiti: “Mi piacciono le donne bionde con i capelli lunghi e gli orecchini”. La femminilità scandinava è sempre stata il mio ideale estetico: capelli chiari e occhi azzurri. E invece la mamma di mia figlia è italo-tunisina, tutto il contrario. La questione vera è che si fa fatica a spiegare le ragioni di un innamoramento».

Anche Carmen Consoli non è esattamente il prototipo della nordica, eppure le ha dedicato il libro: “Una delle mie sette anime gemelle”.
«Che si dica che ho scritto questo romanzo solo per poter fare la dedica, voglio che tutto il mondo sappia della mia ossessione per Carmen Consoli: mi piace tutto di lei. Da siciliano trovo confortante essere suo corregionale, la metto nel pantheon con Camilleri. Certo è una passione destinata a restare tale perché, come diceva lo scrittore britannico Aldous Huxley: “L’amore vero, essendo infinito ed eterno, non può essere consumato che nell’eternità”. Me la sono ricordata...».

Arturo dice di sé che ha uno spiccato senso del dovere, anche questo è autobiografico?
«Sì, e quando racconta che da ragazzo puliva con perizia gli scarichi delle docce negli ostelli, quello sono io. Ero bravissimo, una soddisfazione vedere l’acqua scendere dopo avere portato a termine l’operazione. Non hai salvato il mondo, però ovviato a una delle cose più fastidiose che ci siano. Detto ciò, sono anche un aziendalista, alle Iene ho fatto servizi leggeri che magari avrei evitato, ma che erano necessari per l’equilibrio di una puntata. Quando c’è bisogno ci sono, non faccio l’artista».

È ostinato anche in questioni molto serie. Come procede la vicenda delle casette delle sorelle Pilliu, che ha raccontato in “Io posso, due donne sole contro la mafia”?
«Per il momento non siamo riusciti a fare riconoscere Maria Rosa e Savina, che ne frattempo è mancata, vittime di mafia. Dal 1990 hanno portato avanti la battaglia contro il costruttore Pietro Lo Sicco, vicino a Cosa Nostra e condannato, che ha edificato a Palermo delle palazzine illegali, danneggiando pesantemente la loro abitazione e tentandone l’esproprio. Con il libro che ho scritto insieme a Marco Lillo abbiamo raccolto i 22.800 euro più gli interessi perché si possa pagare la tassa che lo Stato ha chiesto loro per un risarcimento in realtà mai ricevuto. Non so cosa abbia spinto i lettori, ma lo hanno comprato... vedi, quando dici “non possiamo fare niente”, e invece sì. L’obiettivo più importante è ricostruire le casette, lì dove erano. È complicato, perché le Pilliu si sono opposte al sopruso, ma le strutture buttate giù per far posto a quelle abusive sono molte di più. Sarebbe una grande vittoria, dimostreremmo che la mafia, la corruzione e la peggiore politica perdono di fronte all’ostinazione e all’unione dei cittadini. E quando la retorica si lega alla concretezza è una cosa meravigliosa».

È in tournée con Francesco Piccolo e i “Momenti di trascurabile (in)felicità”, quali sono i suoi?
«Può sembrare banale: sono di gioia quelli in cui riesco a stare con mia figlia. E di tristezza quando mi vede riprendere lo zaino e la sento gridare “No!”. Come a dire: vai già via... Ecco, alla fine sono romantico a modo mio, un po’ un disadattato. Se tiro le somme e guardo al me bambino, silenzioso e sempre un passo indietro, mi dico “dai stai andando bene”, nonostante il mio carattere credo di avere fatto tanto. Mi dispiace non riuscire a comunicarlo, soprattutto quando le persone mi fermano per strada, percepisco in loro la delusione perché trovano imbarazzo invece dei fuochi d’artificio. Lancio un appello: se mi incontrate e vi sembro freddo, vi prego, non ci rimanete male!