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 2022  novembre 06 Domenica calendario

Intervista a Joe R. e Kasey Lansdale - su "Non aprite quella morta" (Einaudi)

Joe R. Lansdale era stato invitato a scrivere la storia più oscura che potesse immaginare per un’antologia, ma doveva farlo a quattro mani con un altro autore, e lui non collabora facilmente. Così ha detto di no. Allora sua figlia Kasey gli ha mandato cinque pagine scritte da lei. «Dopo un paio di giorni, nella mia casella c’era una email di mio padre in cui diceva che ero qualcosa di molto simile a un essere malvagio, cosa che in effetti sono, e allegava altre cinque pagine». Dopo quel racconto, padre e figlia hanno continuato a lavorare insieme. Per capire Non aprite quella morta, una collezione di racconti scritti a quattro mani da Joe e Kasey Lansdale, bisogna capire «il cuore dei personaggi» — due investigatrici dell’occulto, Dana e Jana, in un genere molto amato da Joe sin da ragazzo (quando in questi ruoli c’erano sempre gli uomini) e poi da sua figlia (se le protagoniste erano femminili come Nancy Drew) — ma anche il cuore del clan Lansdale.

Joe Lansdale, uno degli scrittori più prolifici d’America, lettore di tutti i generi e capace di attraversarne tanti — horror, western, fantascienza, thriller, gotico sudista — con una voce radicata nelle metafore e nell’umorismo del Texas orientale, è anche un padre settantunenne che, «come ogni padre al mondo, vuole vedere i suoi figli sistemati e fare meglio di quello che hai fatto tu stesso». Kasey, che a 17 anni ha iniziato a girare l’America come cantante country e ora che ne ha 34 punta a lavorare nel cinema e nella tv e sta finendo di scrivere un romanzo, si è trasferita a Los Angeles.

Li incontriamo da Pappasito’s, ristorante tex-mex vicino all’aeroporto di Houston, dove vanno a mangiare quando stanno per partire oppure appena atterrati, prima di mettersi in auto per due ore verso casa, nei boschi di Nacogdoches. Sono in quattro, più Leo, il maltipoo (un incrocio tra maltese e barboncino) di Kasey. La moglie di Joe, Karen, ha fatto un controllo medico a Houston, la nonna Phyllis Morton va a stare da loro per qualche giorno. Manca Keith, 4 anni più grande di Kasey, che fa l’agente di Borsa e vuole diventare regista: due sue sceneggiature sono diventate film, ci informa il padre. «Avevo già scritto un romanzo con Keith e un paio cose con Karen, ma con Kasey è diverso: siamo più simili nello stile e nell’umorismo». Tre racconti di Non aprite quella morta sono diventati in America anche un fumetto realizzato dall’illustratore italiano Daniele Serra. «È una cosa molto divertente per me, non solo perché imparo da uno dei migliori, ma anche perché ciò che facciamo insieme diventerà un ricordo tangibile ed eterno», scrive nell’introduzione Kasey, che ha basato su sé stessa la figura di Jana. «Quel personaggio sarà sempre con me, come il legame con la mia famiglia».

Questo libro inizia con alcuni racconti «vecchio stile» che vedono protagonista Dana Roberts, investigatrice dell’occulto ammessa in un club per soli uomini. Poi Kasey introduce la sua Jana. E allora le storie cambiano e diventano «buffe, divertenti, pur restando decisamente spaventose», spiega Kasey.

JOE LANSDALE — Non fa ridere se non hai una spalla. Come Hap e Leonard (i detective di una sua popolarissima serie, ndr). Come Holmes e Watson. All’inizio cercavo di riprodurre le tradizionali storie di fantasmi e dell’orrore con cui ero cresciuto, ma con una protagonista donna. Nessuno coglieva che volevano essere un po’ ironiche. Ora si sente subito. E credo si senta la voce di Kasey più della mia: si fondono, ma lei indica la strada.

KASEY LANSDALE — Jana sono io, non c’è dubbio. È chi voglio essere, chi riesco a essere nelle mie giornate migliori. Ma le conseguenze per lei non sono le stesse che per me nella vita reale, perciò averla inventata mi permette di parlare in modo più onesto e con più ironia.

JOE LANSDALE — Dana va in limousine, Jana usa Uber. Dana apprezza Jana anche se non lo dice, perché le offre la vulnerabilità di cui ha bisogno, anche se a volte la trova fastidiosa, un intralcio. Jana vorrebbe essere come Dana, sicura di sé, ma ha in realtà più fiducia in sé stessa di quanto non creda...

KASEY LANSDALE — E Jana, che sa essere buffa, la aiuta a rilassarsi un po’ perché Dana è in parte intrappolata nel suo elitismo. È isolata e naïf...

JOE LANSDALE — ...ma è anche donna di mondo. Pur essendo giovane, per me ha un po’ l’aura di una donna degli anni Cinquanta avanti rispetto ai suoi tempi.

Le due protagoniste usano anche oggetti magici. Il suo fidanzato è un mago: ha dato una mano?

KASEY LANSDALE — In questi primi racconti non era ancora coinvolto. Ma anche papà è un appassionato di magia e sa molte cose. Devo dire che sul tema ormai so molto più di quanto avrei mai immaginato.

Non è la prima volta che collaborate in famiglia. È successo anche quando Kasey aveva 8 anni e Keith 12. In che modo è cambiato?

KASEY LANSDALE — Allora papà stava al computer, e mio fratello e io da un lato e dall’altro. Non c’erano aspettative nei miei confronti, né esterne né interne. Era quel che facevamo. Papà scriveva la storia...

JOE LANSDALE — ...solo l’idea di base: c’era uno spaventapasseri vivo e un tizio intrappolato con lui in casa. Keith curava la trama. E tu facevi cose da pazzi.

KASEY LANSDALE — In una scena io volevo che il tizio si impiccasse. Ma ci hanno detto di no, perché era un’antologia per bambini.

JOE LANSDALE — Sono stato io a doverglielo dire. E lei: «Ma non è lo stesso!». Keith organizzava e lei...

KASEY LANSDALE — Io ero la persona con le idee! «Che ne dici di questo? E se facessimo quest’altro?».

JOE LANSDALE — Eri una scimmietta appollaiata sulle mie spalle.

KASEY LANSDALE — Ho questa immagine di te con le braccia spalancate e il palmo delle mani sulla fronte di ciascuno di noi due, mentre corriamo.

JOE LANSDALE — Più o meno, più o meno.

KASEY LANSDALE — Un paio d’anni fa il programma tv Creepshow ha adattato quel racconto e mi ha dato modo di riflettere. Ora sento la pressione, sia interna che dall’esterno; sento le aspettative. Dipende dal nome Lansdale, ma ha anche a che fare con il fatto che il mio sviluppo artistico è sempre stato molto pubblico.

JOE LANSDALE — Kasey ha iniziato a scrivere canzoni da bambina ed è diventata una cantante, lo è tuttora. Questo ha dato un approccio lirico alla sua scrittura...

KASEY LANSDALE — C’è musicalità nello stile di entrambi, con origini diverse: nel mio caso è per via dell’influenza musicale, nel tuo quella di alcuni scrittori...

JOE LANSDALE — Autori come Chandler e Bradbury, che hanno quel tono magico eppure apparentemente semplice. Scrivere è una cosa che ho sempre voluto fare, sin dall’età di 4 anni. E non sono cresciuto in un clima incoraggiante. Mio padre non leggeva tanto, ma diceva: «Qualunque cosa tu faccia falla al meglio»; mia madre era una lettrice. Ma la maggior parte delle persone intorno a me non credeva che potessi farcela, pensavano che fossero solo sogni, che fossi uno sciocco. «Vai a lavorare dalle 8 alle 4 o dalle 9 alle 5, nel weekend cuoci qualcosa al barbecue». Non è ciò che volevo. Penso che sia quello che molte persone vogliono ed è giusto per loro, ma non possono pensare che lo sia per tutti.

Sua madre che cosa leggeva?

JOE LANSDALE — Tutto, soprattutto non-fiction; ma anche molta fiction contemporanea come Faulkner. Leggeva i racconti pubblicati nelle riviste, e avevamo diversi libri a casa, non molti, ma la gente diceva: «A che vi servono?». Una volta mia madre è sbottata: «Li mettiamo uno sopra l’altro e ci saliamo sopra». È stata l’unica volta che l’ho vista arrabbiarsi. Ti stanchi dell’ignoranza. I miei genitori mi hanno sempre incoraggiato: è quello che vuoi, inseguilo. Mio padre non lo capiva allo stesso modo di mia madre, ma erano entrambi al mio fianco, anche quando nessuno lo era, prima di Ka ren, grazie alla quale ho superato gli ostacoli.

Questo libro è dedicato proprio a Karen.

KASEY LANSDALE — La dedica dice: «Avevi ragione su tutto». Mamma è la manager che si assicura che tutti facciano il loro lavoro.

JOE LANSDALE —Lavoravamo nei campi di rose e lei mi disse: «Perché non ti prendi tre mesi per scrivere?». Io tentennai. E lei: «No, fallo. E quando torno a casa è bene che tu abbia scritto qualcosa». Io avevo paura di lei, quindi scrivevo. Il risultato era terribile ma ho imparato facendolo con regolarità. Mio padre era un grande meccanico e imparò così: mia madre gli comprò un’auto e gli disse che poteva smontarla e rimontarla. Senza Karen io non avrei una carriera. Lei ha gestito tutti noi e ora che siamo vecchi lo fa Kasey.

In un articolo intitolato «Crescere Lansdale», alcuni anni fa Kasey raccontava che la sua è stata un’infanzia normale a parte gli scheletri alle pareti.

KASEY LANSDALE — Non sai che è strano finché non ti vengono a trovare gli amici e te lo dicono...

JOE LANSDALE — Quello che ci ha aiutati è che siamo una famiglia unita. I ragazzi sono cresciuti circondati da registi, scrittori e artisti: era nell’aria anche quando a loro non interessava.

KASEY LANSDALE — Come quando andavamo al supermercato e mi dicevate: “Riconosci chi canta alla radio?». E io: «Non mi importa, voglio solo una merendina...».

JOE LANSDALE — In una società sessista, se lavoravi a casa non lavoravi davvero. Io stavo a casa e mi curavo dei ragazzi. Scrivevo con Keith in grembo, era un incubo...

KASEY LANSDALE — Leo si siede ai miei piedi, salta e mi mordicchia, lo devo prendere in braccio e poi vuole appoggiare la testa al braccio ma io devo muoverlo... Non so come tu facessi tutto questo con dei bambini...

JOE LANSDALE — Quando Kasey si alzava al mattino, le davo il biberon, le cambiavo il pannolino e poi usciva a giocare per un’ora. E voleva tornare a giocare di nuovo.

KASEY LANSDALE — In effetti, non sono cambiata... Allora la mamma faceva turni di 24 o 48 ore di seguito al dipartimento di polizia e soprattutto dai vigili del fuoco.

JOE LANSDALE — È stata la prima operatrice donna di Nacogdoches. Le fecero problemi all’inizio, dieci anni dopo non volevano che se ne andasse.

KASEY LANSDALE — La mia cosa preferita è quando telefonavano dicendo: «Il mio gatto è sull’albero». E lei: «È andato a fuoco? In caso contrario, arrivederci».

JOE LANSDALE — Anche mio padre aveva un umorismo nero. Ridi di cose terribili non perché pensi che sia divertente ma perché è un modo per affrontarle. Come diceva Mark Twain, non c’è umorismo in paradiso, se il paradiso esiste, perché l’umorismo è basato sul dolore.

Che cosa rende unico il vostro Texas dell’Est?

JOE LANSDALE — Noi diciamo che sta dietro il sipario dei pini. Era anche uno dei posti più ignoranti, ma è cambiato negli anni. La gente usava similitudini e metafore, mio padre parlava così. «Più caldo di due ratti che fottono in un calzino di lana»: è meglio di dire «caldo torrido», no? Senti queste espressioni e le prendi in prestito, ma derivano dal fatto che molta gente fosse analfabeta. Venivano dalla Grande Depressione, dai monti Ozark, vecchi dalla corazza dura. Gradualmente i figli si sono istruiti, ma quei modi di dire sono rimasti e si sono evoluti. E i miei ragazzi li conoscono. Il Texas dell’Est è dove Ovest e Sud collidono, è fondato da gente del Tennessee, ha una cultura simile a Louisiana e Arkansas. I texani dell’Ovest parlano lentamente, a Est...

KASEY LANSDALE — ...parliamo come scoiattolini...

JOE LANSDALE — Dillo in fretta, prima che ti ammazzino... Nel Sud c’erano molti schiavi, quindi crescevi circondato dai neri, anche se erano certamente oppressi. Questo mi turbava da bambino, non lo capivo. Avrò avuto 8 o 9 anni, al Cozy Theatre a Gladewater: aspettavamo per comprare i biglietti e ho visto un gruppo di neri in fila davanti a un’altra porta, ho chiesto a mia madre e lei: «Non posso spiegarlo, è così ma non sarà sempre così». Ci sono ancora posti così in Louisiana, ma nel Texas dell’Est è cambiato, specie a Nacogdoches...

KASEY LANSDALE — Nacogdoches tra tutte le contee è più progressista: c’è l’università ed è cambiata anche da quando ero piccola io. Ci sono molti Texas dell’Est...

JOE LANSDALE — Quand’ho visto per la prima volta una coppia interraziale ero preoccupato per loro, adesso vedi continuamente coppie miste e gay. Ma io conosco la mia gente e dico le cose che non vanno bene.

KASEY LANSDALE — È come quando qualcuno fa qualcosa di sbagliato nella tua famiglia: tu puoi dirlo, ma non vuoi che lo dicano gli estranei...

JOE LANSDALE — È amore e odio, perché nel Texas dell’Est ci sono persone con visioni politiche e religiose diverse dalla mia, ma se mi si ferma l’auto, accostano e mi aiutano a rimetterla in moto. Quando incontri le persone in gruppo o in massa, che siano conservatrici o liberal, le odio tutte, ma invece prese una a una sono diverse. C’è sempre qualcuno che pensa che qualcun altro ti stia portando via qualcosa. Che la ragione per cui non ho lavoro è il messicano che si è preso il lavoro. Cosa? Raccogliere angurie? Io l’ho fatto, credetemi, non c’erano molti bianchi in fila per raccogliere pomodori e angurie. Quando Karen e io lavoravamo nei campi di rose, eravamo noi due, poi ispanici, neri e basta.

KASEY LANSDALE — Quando si sono sposati i fiori venivano da quei campi.

JOE LANSDALE — Ricordo quest’uomo che lavorava con me, aveva la schiena permanentemente curva, perché in quei campi di rose lavorava sin da giovane. Quando arrivava il tempo di pagarci, la mia busta era sempre più grossa della sua, a causa del colore della pelle. Noi eravamo white trash , era un punto di vista diverso: non ci sentivamo poveri ma al verde. Pensavamo: domani sarà meglio, e spesso lo era. Ma non si può dire che nulla sia cambiato, come spiegava John Lewis, un mio eroe. È che le nuove generazioni sono poco orientate alla storia.

KASEY LANSDALE — Non che siano inconsapevoli, ma non è la questione più urgente per loro: la maggior parte delle persone della mia generazione ancora paga i debiti universitari, ogni generazione ha i suoi problemi.

La vostra generazione è la prima in America a non avere un maggiore benessere rispetto ai genitori. È come se qualcosa si fosse rotto.

KASEY LANSDALE — Hai la sensazione che ci siano meno opportunità di farcela, senza aiuto.

Ma una volta lei ha finto d’essere Norman Mailer?

JOE LANSDALE — Sì, l’ho fatto, mio Dio. Karen lavorava ai vigili del fuoco, io facevo il bidello e mi ero appena dimesso: avevo venduto un paio di libri, uno con un piccolo editore, mi dovevano dei soldi e non mi pagavano, mi ignoravano al telefono. Così ho chiamato dicendo: «Sono Norman Mailer». Sono corsi subito a rispondere. E io: «Non è Norman Mailer, è Joe Lansdale e vengo a spaccarvi il culo». Quella settimana ho avuto l’assegno. Mi vergognavo ma ne avevo bisogno.

KASEY LANSDALE — Forse perché ho genitori più anziani di molti miei coetanei, ma sin da bambina mi preoccupavo della pensione. La nonna non se lo ricorda, ma seduta sul divano mi insegnava a fare lo spelling e già mi diceva che si deve avere un piano pensionistico...

Oggi il clima politico è tesissimo, come finirà?

JOE LANSDALE — Io penso che ci sia moltissima gente perbene in questo Paese. Il problema sono i gruppi che prendono il controllo con il sistema del collegio elettorale. Forse dovremmo smetterla di schierarci in campi opposti e cominciare a scegliere le idee.