la Repubblica, 6 novembre 2022
Il Papa tenta la riconciliazione tra sunniti e sciiti
MANAMA – La cattedrale nel deserto, in Bahrein, non è una metafora. La modernissima chiesa dedicata a Nostra Signora d’Arabia, la più grande di tutti i Paesi del Golfo, spunta dal nulla di un vasto terreno desertico donato ai cattolici dal re Ahmad bin Isa Al Khalifa, non lontano dal verdeggiante compound della casa reale, in segno di benevolenza verso le altre religioni. Decisione che marca una differenza rispetto ai più restrittivi Paesi vicini. E che papa Francesco ha voluto valorizzare, recandosi in viaggio in questo piccolo Paese della penisola arabica per incoraggiare la minuscola minoranza cattolica, certo, compostaper lo più da lavoratori indiani e filippini, ma anche per fare avanzare un disegno geopolitico che passa necessariamente dall’Islam del Golfo. Il dialogo con i musulmani è cruciale per Bergoglio. Nello storico, altalenante rapporto tra la Chiesa cattolica e l’Islam globale, Francesco ha ereditato una situazione difficile. In un Medio Oriente sconquassato dall’intervento degli Stati Uniti in Iraq, poi dall’ascesa dell’Isis, la minoranza cristiana si è sentita sempre più spesso straniera a casa propria. Il pontificato di Benedetto, punteggiato da incidenti come il discorso di Ratisbona, non ha aiutato. Andava disarticolata l’identificazione tra cristianesimo e Occidente e il Papa latino americano era l’uomo giustoper farlo. Nel corso del pontificato ha visitato già otto Paesi a maggioranza musulmana, ha evitato accuratamente ogni parola che potesse essere benzina sul fuoco dello “scontro di civiltà”. Soprattutto, ha individuato due interlocutori privilegiati. Il primo è il grande imam di al Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, prestigioso ateneo sunnita del Cairo, che aveva sospeso i rapporti con la Santa Sede all’epoca di Ratzinger. Con lui, nel 2019, ha firmato adAbu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, una dichiarazione congiunta sulla “fratellanza umana”, la prima volta di un documento di questo livello. Ora è tornato ad incontrarlo in Bahrein. Il secondo è l’ayatollah iracheno Ali al-Sistani, che Bergoglio andò a trovare a Najaf, in Iraq, l’anno scorso. Si tratta di uno dei più influenti leader dell’Islam sciita, con un ampio seguito proprio in Bahrein. È nel rapporto conflittuale tra sunniti e sciiti che si inserisce il viaggio di Francesco, il primo Papa a visitare il Paese. Convinto che la religione possa avere un ruolo essenziale negli equilibri geopolitici, e che i leader delle diverse fedi possano dare un esempio di dialogo. L’arcipelago del Bahrein è circondato dall’Arabia Saudita, sunnita, e affaccia, dall’altro lato del Golfo (arabico o persico, a seconda del punto di vista) sull’Iran, sciita. In Bahrein la popolazione musulmana è a maggioranza sciita, la casa regnante sunnita. Qui durante le “primavere arabe” sono scoppiate proteste – più uniche che rare nella regione – represse con durezza. In carcere ci sono oppositori politici, alcuni condannati a morte: non a caso il Papa, nel suo discorso alle autorità, ha chiesto che venga garantito il diritto alla vita «anche nei riguardi di chi viene punito». Ma ha anche riconosciuto al regno la capacità di essere ponte tra etnie e religioni diverse. «Vengo a voi per camminare insieme nello spirito di Francesco di Assisi – ha detto incontrando al-Tayyeb e gli altri saggi musulmani – il quale era solito dire: “La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori”». Lo stesso grande imam di al Azhar ha annunciato l’intenzione di convocare un incontro teologico di sunniti e sciiti, «un dialogo islamico- islamico serio afavore dell’unità». «Sei stato coraggioso», gli hadetto Bergoglio. Che il romano pontefice riesca a fare da catalizzatore di un ravvicinamento tra musulmani è tutto da provare, di certo tenta senza posa di suturare le fratture tra religioni. «Le persone sono di due tipi», ha detto citando l’imam Ali, figura venerata dagli sciiti: «O tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità».