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 2022  novembre 06 Domenica calendario

L’intesa tra Iran e Russia

Droni iraniani alla Russia per aggredire l’Ucraina in cambio di consigli moscoviti agli ayatollah su come reprimere la rivolta delle donne: il patto fra Cremlino e Teheran svela ciò che accomuna le autocrazie, la volontà di indebolire le democrazie sul fronte internazionale e la necessità di reprimere i diritti umani sul fronte interno.
A fine ottobre è stato John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, a far sapere che Teheran aveva dispiegato in Crimea un “ristretto gruppo” di Guardiani della rivoluzione iraniana per assistere le truppe russe nell’uso di centinaia di droni venduti dagli ayatollah a Mosca. Si tratta dei rudimentali modelli Shaeed-136, immaginati e costruiti per essere lanciati come razzi e mortai contro obiettivi specifici. Privi di alta tecnologia e prevalentemente in plastica, questi droni-kamikaze iraniani, dotati di 36 chili di esplosivo volano a bassa quota e sfuggono ad ogni contromisura elettronica. La tattica sperimentata dagli iraniani in Yemen - dove a riceverli sono stati i ribelli sciiti houti che li hanno usati contro obiettivi in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti - è di lanciarne a pioggia, causando spesso gravi danni. Secondo uno studio della Fondazione Carnegie di Washington, la Russia ne ha ordinati a Teheran almeno 1.700, di cui alcune centinaia sono già state usate negli attacchi aerei a grappolo contro le infrastrutture civili ucraine, privando Kiev di almeno il 30% della propria elettricità.

Le autorità di Kiev hanno raccolto alcuni frammenti di questi droni iraniani – che i portavoce di Teheran continuano a negare di aver fornito a Mosca – grazie ai quali Putin riguadagna terreno nella battaglia sui cieli dell’Ucraina a prezzi stracciati: se infatti i missili russi Kalibr costano 1 milione di dollari l’uno e i droni turchi Tb2 – adoperati dall’Ucraina – arrivano fino al doppio, gli Shaheed-136 iraniani si fermano ad appena 20 mila dollari, consentendo di andare incontro ai bisogni di un’Armata russa oramai in evidenti difficoltà anche economiche. E non è tutto perché, secondo Washington, Teheran si appresta a recapitare a Mosca anche missili terra-terra, vettori balistici a medio raggio e nuove consegne di droni con un raggio fino a 2400 km, ovvero in grado di colpire praticamente ovunque in Ucraina partendo dalle basi militari russe in Crimea. La scelta di Putin di acquistare droni dagli ayatollah e di accogliere in Crimea unità scelte dei pasdaran si spiega con le difficoltà militari russe in Ucraina, l’evidente ritardo tecnologico rispetto alle forniture di armi occidentali a Kiev e la persistente contrarietà di Pechino a garantire forniture belliche di qualsiasi tipo. Ma in realtà ci sono anche tre motivi strategici assai più profondi. Primo: sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’Iran è stato – assieme a Bielorussia e Nordcorea – il Paese più schierato con Mosca, affiancando all’ostilità alle sanzioni Usa-Ue una aperta, netta solidarietà che il presidente Ebrahim Raisi ha rinnovato di persona a Putin durante il recente summit di Samarcanda. Secondo: Russia e Iran condividono la volontà di cambiare l’architettura di sicurezza internazionale nella regione Europa-Medio Oriente a danno dell’Occidente ed in particolare degli Stati Uniti, e vedono nello scacchiere ucraino la continuazione naturale di una convergenza operativa sperimentata con successo in Siria dal settembre 2015, quando Mosca mandò le truppe per salvare il traballante regime di Bashar Assad sostenuto da Hezbollah filo-iraniani e unità dei pasdaran. Terzo: l’intesa bilaterale include lo sviluppo del nucleare iraniano, che risale a quando Mosca contribuì alla realizzazione della centrale di Bushehr e vede ora la corsa di Teheran allo sviluppo delle centrifughe più avanzate, in basi segrete e bunker sotterranei per arricchire l’uranio al 60 per cento – ad un passo dalla bomba atomica – in aperta violazione degli impegni presi con l’Agenzia atomica delle Nazioni Unite. Per un’autocrazia come quella di Putin, assediata dalle sanzioni, isolata sul piano internazionale, indebolita sulfronte militare e alle prese con una granitica opposizione interna, poter godere del sostegno strategico iraniano significa avere non solo più risorse da spendere sul campo di battaglia ucraino ma anche più opzioni tattiche per incalzare gli Stati Uniti e l’Occidente sullo scacchiere globale. Si spiega probabilmente così la scelta di Putin, durante l’intervento al Valdai International Discussion Club, di rievocare la figura di Qasim Suleymani, il generale iraniano a capo di tutte le operazioni all’estero dei Guardiani della rivoluzione – inclusi numerosi attacchi di terrorismo – che venne eliminato dagli Stati Uniti con un blitz in Iraq nel gennaio 2020. «Lo uccisero sul territorio di uno Stato terzo, rivendicandone l’eliminazione, mi chiedo, ma dove viviamo?» ha detto Putin, rilanciando agli Stati Uniti l’accusa di «violare ogni regola internazionale» ovvero l’argomento su cui Mosca punta per costruire una vasta coalizione di Stati contro “degenerazione” e “aggressività” delle democrazie “decadenti” dell’Occidente. Ma non è tutto perché, da Teheran e Isfahan come da Washington e Londra, rimbalzano con insistenza le indiscrezioni su “sostegni” e “consigli” che i servizi di sicurezza russi sono impegnati a fornire ai colleghi iraniani per permettergli di “fare in fretta” nella repressione della rivolta delle donne – sostenute da moltissimi uomini – innescata dalla morte della 22enne Mahsa Amini, subito dopo il suo arresto da parte della polizia religiosa. Si tratta di sofisticate tecniche di sorveglianza, metodi di interrogatori e gestione di manifestazione di piazza: terreni sui quali la repressione russa non ha eguali in termini di efficienza. In questo caso è il regime di Teheran ad essere in evidente difficoltà davanti ad una sollevazione né politica né religiosa bensì fondata sui diritti di genere, che si moltiplica grazie ad una moltitudine di gesti individuali di rivolta contro i quali il regime integralista sciita appare – per la prima volta – assai vulnerabile. Da qui la necessità di ricorrere allo spietato know how degli ex agenti del Kgb, che hanno un’indubbia esperienza nella repressione delle proteste civili. Ecco perché nel patto fra le autocrazie di Mosca e Teheran c’è non solo la cancellazione dell’Ucraina dalla mappa geografica, ma anche la repressione delle libertà in Iran: lasciando intendere cosa distingue davvero il fronte delle potenze illiberali, ovvero la volontà di creare un “nuovo ordine internazionale” basato su aggressioni militari e violazione dei diritti umani.