Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  novembre 05 Sabato calendario

Le favole di Gadda

Notizie tratte da: Carlo Emilio Gadda Il primo libro delle favole sta in Gadda Saggi Giornali Favole vol. II Garzanti pagine 1151; € 24
 
«Il dinosauro, fuggito dal Museo, incontrò la lucertola che ancora non vi abitava. Disse: “Oggi a me, domani a te”» (20)
 
«Le due tortorelle, venuto il cielo al Leone, scambiarono l’autore per Francesco Assisiense e presero a tubare sul davanzale della di lui finestra dalle quattro del mattino
Furono raggiunte da corpo contundente.
Questa favoletta ne adduce: che il distinguere i Santi dai bubbolono non è delle tortore»
 
«Il ciliegio, venuto dopo gran fuga d’anni al nonagesimo suo, fu sradicato e messo in tavole. E dette tavole, dopo stagionatura assai, piallate. E, infine, commesse in una scansia.
Ora egli guarda l’Omero e il Plato, l’Orazio e il Dante. Ma se il destino gli riconducesse una sola delle trasvolate ore del tempo, ei si rifarebbe al suo colle, a far zuffa con i venti dell’aprile.
Questa buona favola del buonissimo abate Zanella ne adduce che: “al comune degli uomini, e dei ciliegi, i pensiero di giovinezza è rimpianto”».
 
«L’autore non può rimpiangere la sua inesistita giovinezza».
 
«La scimmia, trovato un elmo da pompiere, se lo mise in testa. Ma rimase al buio».
 
«L’autore, se gliene venisse facoltà, userebbe la frusta sopra ai musicanti di strada. E pure dal trattore».
 
«La donna di cuore, nel pigia pigia d’una scala, o sequenza, fu criminata dal re di picca di essersela veduta con il fante di fiore: “Penza ai corni di casa tua”, gli disse dolcemente la bella».
 
«Il generale Bonaparte incontrò il Monte di Pietà di Milano: e in dodici ore lo ebbe ripulito».
 
«La puzzola era per venir raggiunta e azzannata dal lupo rapace: a salvarsi, lanciò da poppavia uno de’ suoi temuti siluri allo stato gassoso: nel che fare è maestra. Il lupo, mezzo morto dalla schifenza, desistette dall’inseguirla. Da alcuni contadini fu veduto a vomitare succhi gastrici, e un buon poco di bile, a fiotti, nel vento, mentreché andava miseramente sclamando: “quanto mai!”».
 
«L’aquila volò a lungo. Indi s’appollaiò sull’elmo del Kaiser».
 
«Uno scolaro vide un poeta: e si domandò atterrito: “Ma non bastava l’Iliade?”»
 
«Gli ufficiali del generale Bonaparte incontrarono le posate d’argento di casa Melzi, Serbelloni, e Belgioioso. Se le dimenticarono in tasca»
 
«L’italiani sono di simulato sospiro».
 
«Addormentatosi l’asino sopra il diaccio d’un profondo lago, il suo calore dissolvè esso diaccio, e l’asino sott’acqua, a mal suo danno, si destò, e subito annegò.
Questa favola di misser Lionardo di ser Antonio, matematico, ne dice che ‘l somaro, che s’è addormito, mal provvede al bisogno».
 
«Trovando la scimia uno nido di piccoli uccelli, tutta allegra appressàtasi a quelli, i quali essendo già da volare, ne potè pigliare il minore. Essendo piena d’allegrezza, con esso in mano se n’andò al suo ricetto: e cominciato a considerare questo uccelletto, lo cominciò a baciare: e, per lo sviscerato amore, tanto lo baciò e rivolse e strinse, ch’ella gli tolse la vita.
Questa favola dell’ornitico Lionardo, da Vinci nel quartiere Santo Spirito, è per dire: che gli amorosi parenti, per non li voler gastigare, e per li baciare nel continovo, perdono li figlioli sua».
 
«Il ragno, stando in fra l’uve, pigliava le mosche, che in su tali uve si pascevano: venne la vendemmia e fu pestato, il ragno insieme coll’uve.
Questa favola del sommo Lionardo di misser Antonio di ser Piero di ser Ghuido da Vinci, nel quartiere di Santo Spirito, ne ammonisce a ritenere: che quale ancide altro animante a suo vitto, la gran vendemmia del Cristo lui ancide».
 
«Un tale, denominato la Fava, richiedè l’autore ch’elli ascoltasse un poema che ‘l detto Fava aveva fatto sulla libertà.
“Preferisco la schiavitù” rispuose l’autore».
 
«Un tale, avendo pescato nel vocabolario il verbo erigere, lo usò al perfetto coniugando erigerono. Ebbe issofatto la sospirata cattedra».
 
«Una carogna di cane rigirata in un gorgo fu sopravvenuta da una carogna d’asino, che imprese a roteare con lei: “Che fetore” sclamò”».
 
«Un critico, veduta una bionda che si pettinava, le chiese un capello.
“Per che farne?”, domandò innamorando la bella.
“Per spaccarlo in quattro”, rispuose il critico».
 
«Andava, la paziente carovana, lungo l’infinito sentiere.
Questa favola è detta de’ cammelli, de li arabi, de’ muli, delli alpini, delle inestinte formicole».
 
«Stando ‘l topo assediato in una piccola sua abitazione dalla donnola, la quale con continua vigilanzia attendea alla sua disfazione, per un piccolo spiraculo riguardava il suo gran periculo. Infrattanto venne la gatta, e subito prese essa donnola, e immediate l’ebbe divorata.
Allora il ratto, fatto sagrificio a Giove d’alquante sue nocciole, ringraziò sommamente la sua deità: e uscito fori dalla sua buca a possedere la già persa libertà, de la quale subito, insieme colla vita, fu, dalle feroci unghia e denti della gatta, privato.
Questa favola di Lionardo di ser Antonio di ser Piero da Vinci, de’ costumi d’ogni animale studiosissimo, ne conforta remorare ‘l salmo dopo fortuna adempiuta: e ne amminisce dubitar del re Giove, che de’ troppi offici non si reca a mente e’ precipui».
 
«Una collana di perle non sofferiva l’odor del populo, qual è malissimo, tanto che umiliò sua supplica appiè il trono del Tonante, o Pedente, si benignasse permetterli uno albergo, o alloggio, o recetto, qual fussi propriamente degno di essa.
Udito il conziglio di Erme, lo Psicopompo, e d’Afrodite Lucanica, lo ’mperadore de’ celesti fulmini, e re dei tuoni, per augusto borborigmo dispuose: ch’ella risiedesse, vita natural durante, e portante, al collo de la marchesa Maria Carolina Ghiniverti Basobibonio Nasozinconio Tettamanti dello Sprocchio di Castelcàvolo, nata dei duchi di Panigaròla, principi di Torreberretti».
 
 
 
@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin-top:0cm; margin-right:0cm; margin-bottom:10.0pt; margin-left:0cm; mso-pagination:widow-orphan; font-size:12.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-fareast-language:EN-US; mso-bidi-font-style:italic;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; mso-fareast-language:EN-US; mso-bidi-font-style:italic;}.MsoPapDefault {mso-style-type:export-only; margin-bottom:10.0pt;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}