Il Messaggero, 5 novembre 2022
Intervista a Nino Frassica
Nino Frassica è senza voce. Troppo lavoro: «Ho registrato il reality di Rai2 Il collegio, in cui faccio il narratore, e 8 podcast», spiega l’attore con una certa fatica. A 71 anni, continua a dividersi senza sosta fra televisione (è mattatore fisso a Che tempo Che Fa), letteratura (il 15 novembre esce da Mondadori il suo nuovo folle libro Paola, una storia vera) e cinema: il 10 novembre lo vedremo in I racconti della domenica, il film di Giovanni Virgilio dedicato a un «uomo perbene», il generoso sindaco di un paesino siciliano (Alessio Vassallo) raccontato dal 1934 al 1978. Rinunciando alla consueta vena comica surreale e ai proverbiali paradossi, Frassica interpreta con un’overdose di umanità un uomo umilissimo, solo al mondo e cresciuto in un collegio di preti: è il maestro di vita del protagonista, rimasto senza il padre emigrato in America. Non è un ruolo inaspettato per un comico come lei?«Ho girato il film perché nel mio personaggio ho rivisto tanti tipi umani che ho incontrato da giovane nella mia Messina: uomini buoni, dediti al prossimo, altruisti che in provincia abbondano». E dove nasce l’umorismo surreale che le ha dato il successo?«L’ho sempre avuto. Il distacco, la voglia di non prendere nulla sul serio guardando tutto dall’alto rappresentano una difesa contro il dolore». Lei ha sofferto molto?«Ho avuto dei momenti difficili, come tutti. Anche se non sono andato a raccontarli da Barbara D’Urso...Quando impari a minimizzare i problemi capisci che non sono così gravi». Perché sulla copertina del suo nuovo libro si è travestito da donna? «Volevo far ridere, e io stesso mi sono divertito come un matto mentre scrivevo. Paola, una storia veram è un racconto paradossale, assurdo ma con un fondo plausibile. Come tutte le mie invenzioni comiche, del resto». Lei è più famoso per le trasmissioni di Renzo Arbore come Quelli della notte e Indietro tutta o per Don Matteo?«Il mio successo ha due facce. La fiction mi ha dato la popolarità di massa mentre nei programmi di Arbore e in quello di Fabio Fazio piaccio a un pubblico più sofisticato. E tutto questo mi piace».A lei quali comici piacciono? «Quelli surreali come me: Valerio Lundini, Maccio Capatonda, Cochi e Renato».Cosa pensa della la tv attuale? «Vedo troppi programmi usa-e-getta, concepiti solo per contenere gli spot, senza attenzione alla qualità».Perché innovatori come Arbore, e come lei stesso, non tornano in pista?«Forse ci siamo invecchiati...ma per carità, parlo per me. Ci vorrebbe una forza fisica diversa, quella stessa che mi manca per fare il regista».Come riuscì a farsi scritturare da Sofia Coppola nel film Nowhere?«La regista prese un abbaglio. Cercava un bravo presentatore e sulla rete s’imbatté nel mio personaggio senza capire che era una parodia.Voleva prendere in giro la tv trash italiana, ma la vera televisione scadente è proprio quella americana...».E com’è finito sul set di The Tourist accanto a Johnny Depp?«Devo tutto a Don Matteo. La serie è popolarissima anche in Germania: la madre del regista di The Tourist, il tedesco Florian Henckel von Donnersmarck, era una mia fan e chiese al figlio di darmi assolutamente una parte.Nel copione non ce n’erano ma lui per compiacerla inventò per me il ruolo del carabiniere che insegue Depp».Cosa manca alla sua già eclettica carriera?«Una fiction sperimentale, cioè costruita secondo lo schema del varietà e con la libertà assoluta di osare. Quando faccio Don Matteo, i film e le tv devo autocensurarmi. Ma ho molta voglia di andare oltre».La dittatura del politicamente corretto lo impedisce?«Io non ho problemi perché evito la satira politica».E da dove nasce questa scelta?«L’attualità scade. Chi parla più della bandana di Berlusconi? Invece l’umorismo surreale è eterno. Come Totò».Nel nostro presente funestato da guerre, virus e crisi i comici hanno una responsabilità maggiore?«Siamo la valvola di sfogo. Ieri ero seduto al bar ed è entrato un uomo reduce da un funerale. Era disperato ma quando mi ha riconosciuto ha sorriso e mi ha ringraziato del mio lavoro. E io mi sono sentito utile a qualcosa».