Avvenire, 5 novembre 2022
I malnutriti nel mondo sono 822 milioni
828 milioni i malnutriti
PAOLO M.
ALFIERI
Il cambiamento climatico, unito alle conseguenze dei conflitti e a quelle della pandemia di Covid-19, aggrava ancora di più l’emergenza fame nel mondo. In maniera netta, l’Indice globale della fame (Ghi) diffuso ieri dall’Ong Cesvi mostra un ulteriore aumento del numero di persone malnutrite, che nel 2021 sono salite a 828 milioni, 46 milioni in più rispetto all’anno precedente e ben 150 milioni in più rispetto a prima del Covid-19. Gli effetti più evidenti sono in ampie regioni dell’Africa subsahariana, soprattutto nel Corno d’Africa dove insiste la siccità, in Asia meridionale, America centrale e Sudamerica. «Dobbiamo urgentemente trasformare i nostri sistemi alimentari, come elemento strategico, ma allo stesso tempo il sovrapporsi delle tre crisi crescenti e protratte nel tempo (conflitti, cambiamenti climatici e Covid), ci impone di rispondere a bisogni umanitari più urgenti», ha sottolineato Valeria Emmi, Networking & Advocacy Seniore specialist di Fondazione Cesvi nel presentare i dati dell’Indice. L’analisi ha preso in considerazione 121 Paesi in cui è stato possibile calcolare il punteggio Ghi sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. L’Indice globale della fame determina la fame su una scala di 100 punti, dove 0 rappresenta il miglior punteggio possibile (assenza di fame) e 100 il peggiore. Il punteggio di ogni Paese è classificato per gravità, da basso a estremamente allarmante. in 9 Paesi la fame è di categoria allarmante e in 35 grave.
I Paesi con punteggi 2022 di livello allarmante sono 5 – Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Yemen – mentre altri 4 sono provvisoriamente classificati come tali nonostante non ci siano dati sufficienti per calcolarne i punteggi di Ghi: Burundi, Somalia, Sud Sudan e Siria.
L’indicatore di maggiore impatto è rappresentato dalla denutrizione, dato che mostra un’inversione di tendenza dopo oltre un decennio di progressi. Si rileva che 46 Paesi non raggiungeranno entro il 2030 un livello di fame basso. Rispetto al 2014 la fame è aumentata in 20 Paesi, raggiungendo un livello moderato, grave o allarmante.
L’incremento più deciso è del Venezuela, dove la fame è passata da 8,1 punti (bassa) del 2014
a 19,9 nel 2022 (tra moderata e grave). «La situazione è in ulteriore peggioramento: le ultime stime di Fao Wfp prevedono che 45 milioni di persone in 37 nazioni nel gennaio 2023 avranno così poco cibo da essere gravemente malnutrite e rischiare la morte», ha spiegato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione Cesvi. «È inaccettabile – ha aggiunto – ed è necessario intervenire subito per invertire questa drammatica rotta». Il cambiamento climatico causato dalle attività antropiche sta provocando eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e intensi, riducendo la disponibilità di cibo e acqua. Negli ultimi mesi si sono susseguiti forti alluvioni in Pakistan che hanno sommerso un terzo del Paese e ucciso almeno 1.300 persone, un supertifone in Giappone che ha costretto 9 milioni di persone a evacuare le loro case, un’anomala ondata di caldo che in Cina, Europa e Usa ha prosciugato i fiumi e provocato incendi boschivi.
I cambiamenti climatici rappresenteranno l’ostacolo chiave al raggiungimento dell’obiettivo 2 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, finalizzato a porre fine alla fame nel mondo entro il 2030. Secondo Caterina Sarfatti, dell’organizzazione C40 Cities climate leadership group, «i Paesi del nord del mondo nel 2009 avevano promesso 100 miliardi l’anno ai Paesi in via di sviluppo per combattere il cambiamento climatico, promessa mai mantenuta ed è quello che maggiormente blocca i negoziati sul clima. Sbloccare questi finanziamenti può essere decisivo per far sì che tutti possano rispettare gli Accordi di Parigi».