La Stampa, 4 novembre 2022
Nanni Moretti per il suo cinema perde 50mila euro l’anno
"Perdo 50 mila euro l’anno per gestire il mio cinema non so più cosa inventarmi"Alla ricerca del cinema perduto, Nanni Moretti, ospite della manifestazione della Cineteca di Bologna «Visioni italiane», prende di petto l’argomento crisi delle sale, ormai da mesi al centro di un dibattito che ha coinvolto attori, autori, distributori, produttori: «È il clima intorno al cinema e in particolare intorno al cinema in sala che non c’è. Tutti sono abbacchiati, lo spazio per le recensioni è sempre più piccolo, fino a scomparire, ci vorrebbe un clima che faccia capire che andare al cinema è una cosa bella e che quelli che non vanno al cinema non sanno quello che si perdono». Vittime di questo «abbattimento, avvilimento» sono, secondo Moretti, «un po’ tutti» i rappresentanti della filiera cinematografica, compresi i giornalisti che si occupano del settore. In veste di esercente dello storico Nuovo Sacher, il cinema del quartiere Trastevere dove Moretti svolge con passione, dal giorno dell’inaugurazione, il lavoro di promozione e lancio dei film in uscita, invitando spesso i registi e tentando di stimolare l’interesse del pubblico, l’autore di Caro diario fa il bilancio di una stagione difficile: «Ho perso meno delle altre sale – racconta – se la media nazionale attesta un calo degli spettatori intorno al 50%, io mi fermo al 20%. Una perdita che, comunque pesa, e non poco».Una perdita che potrebbe, in futuro, se non ci fosse una netta inversione di tendenza, mettere in pericolo la vita della fortezza Nuovo Sacher, avamposto di condivisione e scambio in un panorama di fruizione cinematografica orientata verso il dilagare dello streaming: «Perdo parecchi soldi – prosegue il regista –. Ho uno schermo solo e la mia società perde 50 mila euro l’anno per la gestione del cinema. Fino a quando potrò permetterlo continuerò».Insomma, il domani è incerto, anche se, ripercorrendo la sua storia di divulgatore di cinema di qualità, Moretti spiega di aver sempre reagito puntando in alto: «Negli Anni Ottanta, quando dicevano che il cinema italiano era finito, ho iniziato a fare il produttore. Nel ’90, quando si diceva che erano le sale cinematografiche a non avere un futuro, ho aperto il mio cinema, era il ’91». La vecchia sala di Trastevere, chiusa da un paio d’anni e riportata in vita dal regista insieme al produttore Angelo Barbagallo, riprese ad affollarsi con film di alto livello come Close Up del maestro iraniano Abbas Kiarostami e, proprio a quel travagliato debutto, Moretti dedicò poi un cortometraggio intitolato Il giorno della prima di Close Up: «Ho sempre reagito rilanciando. Ora però non si può fare finta di niente. Uno non sa più cosa si deve inventare». La crisi riguarda in primis il prodotto e su questo Moretti è molto chiaro: «I tanti film anche d’autore brutti che escono e che si aggiungono a molti titoli italiani commerciali che tali non sono, che cioè otto persone su dieci rifiutano, perché hanno cast e storie sempre uguali». A lungo andare tutto questo ha provocato una frattura: «Trentuno anni fa, quando ho aperto il cinema, almeno una piccola parte del pubblico si fidava».Nell’elenco delle ragioni che hanno causato la disaffezione del pubblico nei confronti delle sale lo spazio troppo breve tra l’uscita nei cinema e la programmazione su piattaforma occupa un posto importante: «Il problema – fa notare Moretti, di cui, in primavera, si attende l’uscita della nuova opera Il sol dell’avvenire –, nasce già dal festival di Venezia che accetta in concorso i film prodotti dalle piattaforme. Al festival di Cannes questo non avviene. E non tanto perché il direttore Thierry Fremaux non vuole, ma perché le associazioni di categoria di produttori, esercenti, distributori sono più forti che da noi». La stortura, continua Moretti, è a monte: «Qui in Italia finisce che sono gli stessi produttori a convincere i registi a fare i film per le piattaforme. Io, quando faccio un film, lo faccio pensando al grande schermo». C’è anche una questione di generale attenzione per la produzione cinematografica e per gli eventi che la celebrano: e qui Moretti fa l’esempio del Festival di Sanremo, «che per decenni non se l’è filato nessuno» e che oggi trova ampio spazio sui media. «Uno spazio che non c’è – conclude – a proposito del cinema, quando ci sono i grandi festival».f. c. —