La Stampa, 4 novembre 2022
Intervista a Carlos Alcaraz
Accor Arena di Parigi-Bercy, un paio di giorni fa. Frances Tiafoe, talento della nouvelle vague tennistica americana, scorge Carlos Alcaraz seduto su un divanetto e corre a dargli un cinque. «Guardate chi c’è qui: the Chosen One, il Predestinato!». E giù una risata.
Perché è impossibile non sentirsi di buonumore accanto a Carlitos, il fuoriclasse che sorride, il primo degli otto maestri che fra poco più di una settimana si riuniranno a Torino per le Atp Finals. A poco più di 19 anni il ragazzo di El Palmar, un paesone a venti minuti da Murcia in equilibrio fra i ritmi della città e la quiete agricola della Spagna profonda, ha già vinto il suo primo Slam diventando il più giovane numero uno della storia, con quasi tre anni di anticipo sul suo idolo d’infanzia Rafa Nadal. L’ennesimo prodotto a chilometro zero di una bottega d’arte che negli ultimi 25 anni ha sfornato campioni a ritmi industriali. Carlos senior con il tennis ci ha provato, senza grande fortuna. Con l’erede ha azzeccato tutte le mosse, affidandolo a 13 anni a Juan Carlos Ferrero, numero uno a inizio millennio, che per sei anni se l’è covato come se fosse figlio suo. Un team ristretto, molto unito, grandi ambizioni nutrite di valori semplici e vestite dall’umiltà dei fuoriclasse veri.
Carlos, in due anni è passato dal numero 490 al numero 1: talento naturale a parte, qual è il segreto di un successo così precoce?
«Per me la cosa più importante è divertirmi in campo. Godermi il tennis. Dicono che sorrido sempre, ma non è qualcosa di forzato, mi viene naturale. Se non hai passione per quello che fai, a certi livelli non ci arrivi».
In primavera, dopo una serie di grandi successi, il buonumore sembrava svanito. E al Roland Garros è arrivata una sconfitta inattesa.
«Mi sono accorto che non sorridevo più. Facevo fatica a reggere la pressione delle attese che tutti nutrivano nei miei confronti. Ne ho parlato con il mio allenatore, e abbiamo concluso che quando non mi diverto, le cose per me non girano bene. Ho dovuto ripartire da lì».
E a New York in settembre è rinato vincendo gli Us Open. Ma a Sinner nei quarti ha dovuto anche annullare un matchpoint: che cosa ha pensato in quel momento?
«A come dovevo giocarmi il punto. Se lo vincevo, okay. Altrimenti sarei andato a rete a stringere la mano a Jannik. È stata una delle migliori partite della mia carriera, un match equilibratissimo. Potevamo vincerlo entrambi».
Alcaraz contro Sinner: è la rivalità del futuro?
«Di giovani contro cui penso di giocare grandi partite ce ne sono tanti, e Jannik è sicuramente uno di loro. Aggiungerei Felix (Auger-Aliassime), Tsitsipas, Zverev, Medvedev, Tiafoe».
Ad Amburgo ha perso in finale con Musetti: Lorenzo può seguire le sue orme?
«Ha il fisico e le qualità per fare il salto di qualità. E i risultati lo dimostrano. Con lui e gli altri italiani vado d’accordo, con Jannik siamo amici. Italiani e spagnoli si assomigliano molto»
Djokovic e Nadal sono al tramonto?
«No, l’anno prossimo mi aspetto che siano ancora lì, a lottare per chi vince più Slam. Sempre ad altissimo livello».
Dopo il ritiro di Federer che tennis ci aspetta?
«Negli ultimi anni è diventato sempre più veloce, i giocatori dal punto di vista atletico sono migliorati enormemente. Sarà un tennis molto fisico, ma credo che prima o poi bisognerà rendere più lente le superfici».
Suo nonno le ha insegnato a giocare a scacchi: è bravo come a tennis?
«Me la cavo, ma sulla scacchiera sono molto meno forte che sul campo…»
Qual è il pezzo che preferisce?
«Be’, se non hai il re alla fine perdi la partita, no? Quindi il re, o la regina».
Come Nadal è tifoso del Real Madrid: a calcio qual è il suo ruolo?
«Laterale d’attacco. Mi piacciono Cristiano, Vinicius, Rodrygo. E Benzema, ovviamente».
Che tipo è lei fuori dal campo?
«Quello che sembro: un ragazzo semplice, sorridente, sempre allegro. Mi piace giocare a golf o starmene a casa con la famiglia e i miei amici, l’importante è avere qualcosa da fare. Tante cose sono cambiate nella mia vita, soprattutto l’attenzione dei media, ma io sono rimasto lo stesso».
Gli obiettivi ora sono diversi.
«Diventare numero uno era il mio sogno, ma non mi aspettavo di farcela così in fretta. Ora vorrei restare in vetta il a lungo possibile, e vincere molti altri Slam».
Degli altri tre che le mancano, Roland Garros, Wimbledon e Australian Open, quale può vincere prima? «Credo il prossimo potrebbe essere il Roland Garros. Ma quello che desidero di più è Wimbledon».
Fra dieci giorni debutterà a Torino. Da appassionato che ricordi ha delle Finals?
«Nel 2014 ho avuto l’occasione di vedere delle partite dal vivo a Londra, l’atmosfera era pazzesca, l’ambiente incredibile. È da allora che desidero provare emozioni come quelle da protagonista».
A fine novembre guiderà anche la Spagna nelle Final 8 di Coppa Davis di Malaga. Meglio l’insalatiera o le Atp Finals?
«L’obiettivo principale, a questo punto della mia carriera, sono le Finals di Torino. Perché ci saranno in campo gli otto migliori del mondo ed è un torneo molto difficile da vincere». —