la Repubblica, 4 novembre 2022
Intervista a Tony Hadley
Tony Hadley con gli Spandau Ballet ha conquistato una generazione, lanciato il look New romantic, diviso le fan. La rivalità con i Duran Duran («Paper talk», dice ridendo, «io e Simon siamo ancora amici») ha diviso compagne di scuola; dibattiti infuocati degni di miglior causa.Erano gli anni Ottanta e si ballava conGold, Through the barricades faceva innamorare anche i cuori di pietra.In fondo, quel pop ha segnato una piccola rivoluzione. Hadley ha 62 anni, guarda al passato con tenerezza. Nessuna nostalgia, nessun rimpianto: è uscito dal gruppo nel 2017, non c’è aria di reunion, e canta da solista. Il pubblico è sempre lì ad aspettarlo, a ricordare con lui «il primo appuntamento o il primo bacio: con la musica», spiega, «entri a far parte della vita della gente».Qualche giorno di riposo a Maiorca, è in tour per festeggiare i 40 anni di carriera (Giappone, Nuova Zelanda, Australia, Filippine, Inghilterra) e tra qualche settimana sarà in Italia: prima tappa il 22 novembre a Torino, il 23 a Milano, il 24 a Ferrara, il 26 a Firenze, il 27 a Udine e il 28 a Bologna.Felice di tornare in Italia?«Felicissimo. Sono tutti così gentili, generosi con me, ma da sempre, dagli inizi. L’Italia è uno dei paesi dove sono più felice. E poi vogliamo parlare del cibo e del vino?Fantastici».Vogliamo parlare invece della musica italiana? Che pensa dei Måneskin?«La musica italiana è molto buona, mi piace Caparezza. I Måneskin li ho visti all’Eurovision e stanno girando il mondo: sono speciali, riescono a mantenere una linea melodica nel loro rock».Con gli Spandau Ballet avete fatto la storia della musica e ora da solista celebra 40 anni di carriera.Che effetto fa incontrare il pubblico dopo la pandemia?«È un’emozione potente. Sono due anni che i tecnici stavano fermi, tante persone hanno perso il lavoro. La gente vuole sentire la musica dal vivo, ritrovarsi, cantare e condividere le emozioni. Mi ha colpito perché quando ero a Tokyo tutti portavano ancora la mascherina, mentre in altri paesi non si porta più. Tutti vogliono tornare alla normalità, che vuol dire semplicemente tornare alla vita di prima».Abbiamo ballato con i suoi successi, che le dicono i fan?«La musica ti porta a ricordare, sai esattamente cosa succedeva quandoascoltavi una canzone. Mi raccontano del primo bacio o del ballo quando si sono sposati.Le canzoni hanno il potere di trasportarti indietro nel tempo, a quando eri un teenager, hanno un potere evocativo. Ma la cosa che mi fa più piacere è che anche i ragazzi su Spotify hanno riscoperto noi, Paul Young, i Culture Club. Ed è bello vedere ai concerti persone di tutte le età, anche i ragazzini».Nel poster del documentario “Soul boys of the western world” con gli Spandau, vestiti in modo improbabile, fermate il traffico a New York. Che pensa quando si rivede?«Che è stato un periodo eccitante, non c’era Internet, niente telecamere digitali, abbiamo vissuto l’età dell’innocenza. Ci siamo divertititanto. Non sono nostalgico. Quello che abbiamo fatto con la musica lo facevamo con la moda – “Oh, mio Dio, ma cosa ti sei messo, come ti sei vestito?” – eravamo creativi. Trovare il look giusto era un impegno serio.Gli anni Ottanta sono stati l’ultimo periodo in cui musica e moda sono stati strettamente legati, eravamo pronti a conquistare il mondo e ci credevamo. Oggi sorrido».La cosa più folle che ha fatto?«Abbiamo fatto tante cose stupide con gli Spandau – forse meno di altri – sempre in giro, andavamo ai party più stravaganti; eravamo giovani, ci siamo divertiti. Pensandoci, una cosa che ho fatto a Roma, al Gilda: sono saltato giù dal palco per planare sulla gente. Mi chiamavano tutti e mi sono detto: perché no?».Non rimpiange quegli anni?Neanche un pizzico di nostalgia?«Nostalgia no. Non guardo al passato. Sono proiettato nel futuro, siamo nel 2022, la parte migliore della mia vita è adesso. Non rifletto su quello che è successo, penso al prossimo spettacolo».Era vera la rivalità con i Duran Duran o è stata inventata dai discografici?«Era tutto creato dalla stampa, ero il loro primo fan. Avevamo un ottimo rapporto e vedo ancora Simon Le Bon. Ho amato la loro musica.Eravamo rivali nel senso che eravamo due gruppi che si sono divisi il pubblico».Ha cinque figli, che padre è?«Hanno dai 33 ai 10 anni. Per me devi fare il padre e dopo puoi fare l’amico.Mi diverto con loro, ricordandomi che non siamo alla pari, sei il genitore e devi fare quello».È ottimista sul futuro?«Sì, nonostante tutto. Sono preoccupato per quello che sta succedendo in Ucraina, per la Russia, la Cina, per il clima che cambia.Come tutti ho paura per i miei figli, vorrei che vivessero in un mondo meraviglioso. Bisogna essere uniti.Abbiamo a disposizione un solo pianeta e dobbiamo proteggerlo.Vedo che c’è molta sensibilità, specie i giovani sono attenti: questo mi fa sperare. La guerra è la vera sconfitta, perché vuol dire che non abbiamo imparato niente dalla storia».