Corriere della Sera, 4 novembre 2022
De Gasperi e Segni: un impegno comune per il mondo contadino e per la scuola
Nell’immediato dopoguerra gli italiani spendevano l’ottanta percento del reddito in alimentazione; la disoccupazione, soprattutto al Sud, era ai massimi, e l’analfabetismo non era stato ancora debellato: circa il dodici percento della popolazione, pari a 3,7 milioni di abitanti, non sapeva né leggere né scrivere. E di questi il 66,6 percento risiedeva nelle aree del Mezzogiorno e delle isole. Certo, eravamo lontani dalle percentuali riscontrate nel 1860 in alcune delle aree più arretrate, con picchi che superavano l’80 percento, ma era chiaro a chi assumeva il governo del Paese che dopo la ventennale parentesi fascista alcune sfide del Risorgimento erano ancora da completare. Una di queste era la riforma agraria, la distribuzione delle terre nei latifondi incolti che già aveva acceso speranze e lasciato ferite aperte durante l’impresa di Garibaldi.Il senso di una missione storica da compiere e l’urgenza di riforme da attuare in un’epoca che non faceva sconti si avvertono nelle pagine del carteggio tra il leader della Dc e presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (1881-1954) e il suo collega di partito e poi ministro dell’Agricoltura e dell’Istruzione Antonio Segni (1891-1972).
A cura di Pier Luigi Ballini ed Emanuele Bernardi, il volume edito da Studium e dalla Fondazione De Gasperi di Roma, Il governo di centro: libertà e riforme, raccogliendo un fitto scambio epistolare tra il 1943 e il 1954, illumina un periodo di storia cruciale e sfata alcuni luoghi comuni su un personaggio, Antonio Segni, che la vulgata inchioda al cliché del conservatore e alla rappresentazione di un presidente della Repubblica (mandato durato soltanto due anni e mezzo, dal maggio 1962 al dicembre 1964, per motivi di salute) che non avrebbe saputo smarcarsi da personaggi con tentazioni autoritarie.
Il profilo che emerge dalle lettere di questo volume di 780 pagine è quello di due protagonisti che riprendono il dialogo politico interrotto nei primi anni Venti durante le battaglie nel Partito popolare e si ritrovano all’Assemblea Costituente con l’intenzione di completare l’opera interrotta.
Questo senso dell’urgenza e di una missione da completare è ben descritta nel saggio introduttivo di Emanuele Bernardi dedicato a Segni ministro dell’Agricoltura del governo De Gasperi (luglio 1946-luglio 1951). Nato in una nobile famiglia di proprietari terrieri di Sassari, professore di diritto all’università, Antonio Segni era consapevole del difficile compito che lo attendeva nel dicastero che era stato del comunista Fausto Gullo, passato alla Giustizia per sostituire Palmiro Togliatti. Mentre continuavano i lavori all’Assemblea Costituente, dopo il viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti agli inizi del 1947, era chiaro che la stagione dei governi di unità nazionale volgeva al termine.
Difficoltà
Nell’immediato dopoguerra la piaga dell’analfabetismo era ancora molto estesa
La rottura avvenne nel maggio 1947, quando già il Pci organizzava le proteste nelle campagne. De Gasperi voleva la distribuzione delle terre, ma nel rispetto della legalità. Per questo agì in accordo con Segni per contrastare la propaganda comunista, ma anche per spingere sull’opera di bonifica e sugli espropri. Talvolta il ministro dell’Agricoltura entrò in contrasto con il suo presidente, rivendicando la priorità dell’intervento nelle campagne rispetto a quello nelle città e criticando il rigore in difesa della moneta di Luigi Einaudi. Nei momenti in cui più forti nel partito si fecero sentire le spinte conservatrici, Segni arrivò a proporre una scissione della Dc, tra destra cattolica e cattolici progressisti, suscitando i rimbrotti di De Gasperi.
I risultati della riforma, che arrivò nel 1950 con una legge stralcio riguardante il delta del Po, la Maremma toscolaziale, la Basilicata e la Puglia, la Sila e altre aree della Calabria, la Sicilia e la Sardegna, sono racchiuse in un numero: 750 mila ettari distribuiti. Certamente quella riforma non riuscì a risolvere il problema della disoccupazione, ma chiuse un ciclo e dimostrò le serie intenzioni riformatrici della Dc di De Gasperi, che resistette con il suo ministro alle pressioni dei latifondisti. Per esempio in un drammatico incontro con il principe Alessandro Torlonia.
Gli altri due percorsi proposti da questo importante carteggio riguardano l’istruzione e l’europeismo. Li delinea in due brevi saggi lo storico Pier Luigi Ballini. Nel rimpasto per il VII governo De Gasperi a Segni toccò il ministero dell’Istruzione (luglio 1951-luglio 1953). L’Italia del dopoguerra, come abbiamo visto, non aveva debellato la piaga dell’analfabetismo, ma doveva fronteggiare problemi se possibile più urgenti come l’insufficienza di aule: ne mancavano 45 mila. C’era poi da risolvere il problema della disoccupazione dei maestri (la trovata fu l’istituzione di scuole popolari) e nel contempo l’affollamento delle aule al Sud dove alle elementari ogni maestro doveva occuparsi di 31 alunni, mentre al Nord il rapporto era di uno a 25. Accanto a questi problemi basici, Segni affrontò le questioni degli esami di Stato e della parificazione tra le scuole di Stato e private, fronteggiando gli attacchi di chi, come lo storico Gaetano Salvemini, lo accusava di essere un ministro clericale.
Il punto finale di incontro tra Segni e De Gasperi fu l’europeismo. Si sa della delusione dello statista trentino per l’affossamento del progetto di difesa comune europea. Il leader della Dc, definito da Giorgio La Pira «un rabdomante che sente le forze del sottosuolo storico», considerava la difesa comune uno degli aspetti della solidarietà europea. Una lungimiranza riconosciuta da Segni quando da presidente del Consiglio in un discorso di commemorazione disse che l’Italia aveva un debito di riconoscenza verso lo statista trentino.
Segni firmò nel 1957 il Trattato istitutivo della Cee e parlò della nascita di uno Stato nuovo che sarà l’Europa occidentale.