Corriere della Sera, 4 novembre 2022
Perché il Colle ha firmato decreto anti rave
La moral suasion del presidente della Repubblica funziona meglio quando è riservata. Chi segue le attività del Quirinale lo sa, perché è capitato più spesso di quanto si creda che i capi dello Stato abbiano usato la loro autorevolezza per far correggere qualche scelta, senza pubblicamente ricorrere ai poteri fissati dalla Costituzione. In un caso come quello che oggi infiamma le cronache politiche il condizionale è d’obbligo, ma potrebbe essere proprio quanto sta accadendo con il decreto anti-rave, di cui le stesse forze di maggioranza hanno già annunciato alcune modifiche migliorative in Parlamento. Sergio Mattarella lo ha avallato tra opposte pressioni polemiche. Con il centrosinistra, che pretendeva un suo rifiuto di firmarlo, sostenendo che si tratta di una norma liberticida. E con il centrodestra euforico per averlo visto promulgato subito e senza esplicite riserve, rivendicando così una «sconfessione» dei suoi oppositori. Il via libera del Colle è in realtà nato dal fatto che, a istruttoria giuridica conclusa, il testo recapitatogli da Palazzo Chigi non ha rivelato «palesi vizi di costituzionalità». Alcuni svarioni, sì. Anche grossolani e soprattutto per omissione. Ma nulla di più.
Del resto, il capo dello Stato non è il giudice delle leggi. Tanto è vero che, se rinvia alle Camere un provvedimento, motivando la sua scelta, questo può comunque essere ripresentato anche tale e quale davanti alle Assemblee. E, nella eventualità che queste lo riapprovino, il presidente si ritroverebbe disarmato e avrebbe l’obbligo di firmarlo. Certo, esiste un’altra strada per contrastare una norma sgradita o ritenuta pericolosa, della quale magari si teme possa reprimere ben altri tipi di pubbliche manifestazioni, come sostengono coloro che contestano il decreto anti-rave. Qualora ne venisse fatto un uso distorto, e dunque incostituzionale, resta pur sempre la possibilità di un ricorso alla magistratura e alla Consulta. Che è il vero giudice delle leggi. Detto poi che non tutto ciò che non piace al Quirinale è per forza incostituzionale, bisogna aggiungere un’ultima considerazione. Che deve tenere conto del contesto politico e costituzionale in cui la querelle è maturata.