il Giornale, 4 novembre 2022
Intervista a Marc Jacobs
Appena 16 parole. Che però racchiudono un’intera filosofia di vita. La frase sarebbe perfetta all’ingresso di ogni scuola: «Avere dei sogni, non aspettarsi regali da nessuno e sfruttare gli insuccessi per arrivare alla vittoria».
Lo scrive Marcell Jacobs nell’autobiografia Flash, la mia storia (Piemme Edizioni).
In un mondo di cattivi maestri o, più banalmente, di «idoli» di cartapesta e «miti» impastati nel nulla, i giovani (e non solo) possono guardare al nostro più grande velocista senza il rischio di essere delusi.
Jacobs, 28 anni, tre figli, è un portatore sano di valori energizzanti; un centrifugato vitaminico di modelli esistenziali. L’educatore ideale che gli studenti - ritti sul banco - saluterebbero in classe pronunciando il verso-cult della poesia di Whitman, O Captain! My Captain!.
Marcell, da bimbo, qual è «l’attimo fuggente» che più ti ha segnato?
«La fuga di mio padre quando ero piccolo».
Hai trascorso l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù chiedendoti il perché di una scelta tanto assurda. Hai trovato la risposta?
«No, ma ho perdonato. Ho capito che dovevo riallacciare quel rapporto. Era in gioco il mio equilibrio. È stata la scelta giusta».
È il capitolo più intenso del tuo libro.
«La vita, a differenza dei 100 metri che sono un rettilineo, è piena di curve».
Ma tu sei riuscito ad raddrizzare anche le «curve».
«Ho saputo trarre energia dal dolore, trasformando in punti di forza le mie insicurezze».
Il segreto del successo è anche allenare la mente.
«Fisico e testa devono correre insieme. Liberi. Se non c’è simbiosi tra corpo e psiche è impossibile tagliare il traguardo da vincenti».
Il prodigio dei tuoi record è nell’accelerazione negli ultimi 20 metri. Qual è il segreto per raggiungere il picco della velocità proprio in dirittura d’arrivo?
«Un mix di impegno umano e aggiornamento tecnico».
A volte fai cenno a un misterioso «scudo». Di che si tratta?
«È una specie di cabina che sfreccia davanti a me, consentendomi di allenarmi azzerando l’attrito dell’aria».
Oggi ne parlerai al «Festival Focus» in programma al Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano.
«L’ambiente ideale per confessare il mio sogno segreto: andare nello spazio e correre tra le stelle».
Cos’è per te l’atletica?
«Puro divertimento».
Rimanere di «buon umore» prima di una finale sotto gli occhi del mondo non è da tutti.
«Alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e quest’anno agli Europei a Monaco di Baviera, mentre i miei avversari si guardavano in cagnesco, io li salutavo battendogli il cinque, come se dovessimo fare una gara tra amici. Mi sentivo libero. Leggero».
E, prima dell’oro, i soliti gesti propiziatori dietro ai blocchi di partenza. Le mani «a paraocchi», una carezza sul cuore e due pacche sulle spalle. Che significato hanno?
«Le mani a paraocchi - come dici tu - indicano la volontà di guardare solo la mia corsia e null’altro; la carezza sul cuore è un gesto di affetto verso chi mi vuole bene; le pacche sulle spalle per dire all’ex piccolo Marcell: Bravo, nonostante tutto quello che hai sofferto, ce l’hai fatta».
Quand’eri ragazzino tuo nonno ti chiamava «motoretta». Motivo?
«Tutti i mie compagni avevano il motorino, ma mia madre non voleva, diceva che era pericoloso».
E allora perché quel soprannome?
«Correvo a piedi, ma facendo il verso della motoretta. Impennavo, acceleravo, sgommavo. Era tutto finto. Imitando però il rumore del motore a manetta».
Ma poi, da grande, la «motoretta» l’ha comprata?
«Sì. E a ricordarmelo, dopo una caduta, ci sono anche 20 punti di sutura, qui sulla gamba».
La mamma aveva quindi ragione...
«La mamma va sempre ascoltata».
Sei nato in America ma non conosci l’inglese. Cos’è che ti piace tanto dell’Italia?
«Degli States non ho alcun ricordo. L’Italia è il mio unico Paese. E difendere i suoi colori indossando la maglia delle Fiamme Oro della Polizia di Stato mi inorgoglisce».
La tua autobiografia si intitola Flash, ti senti un supereroe?
«Flash non è ispirato a un supereroe ma è un termine americano che sta per velocità».
Perfetto per chi sogna di andare nello spazio.
«Se ne avrò la possibilità lo farò. Di corsa».