ItaliaOggi, 3 novembre 2022
La lenta estinzione dei menù
Quando una cosa è inutile rimane per sempre, come l’ora estiva. È stato dimostrato che non serve a risparmiare energia, se non in misura ridotta. A me non dà fastidio un’ora in più o in meno, forse perché da inviato speciale mi sono allenato a sopportare il jet lag, ma molti hanno dei problemi, anche gli animali soffrono, cani e gatti di casa, e le mucche nelle stalle. Inutili i tentativi di abolirla o, almeno, di mantenere l’ora estiva tutto l’anno. O le forbicine per le unghie, vietate in aereo dopo l’attentato alle torri a New York. Qualcuno le giudicò un’arma letale, e lo resteranno per i prossimi decenni.
A causa della pandemia, in molti ristoranti per evitare i contagi hanno abolito il menù cartaceo. Ora si scarica sul cellulare. Il mio ha uno schermo normale, e non è agevole, anche se non porto gli occhiali. I ristoratori hanno scoperto che fa risparmiare carta e lavoro per aggiornare l’offerta. Poi quando scegli, si rammaricano: oggi quel piatto non c’è, e qualcuno ti porta al tavolo la lavagna con le offerte del giorno. E se ho dimenticato il telefonino a casa per cenare in pace, o la batteria si sta scaricando? E non mi va di leggere ad alta voce il menù elettronico ai miei commensali?
Il menù fa anche parte della storia quotidiana, studiare quelli del passato ci fa scoprire come sono cambiate le nostre abitudini. La Taschen Verlag ha pubblicato il volume Menu Design in Europe- A Visual and Culinary History of Graphic Styles and Design 1800-2000, di Jim Heimann, 450 pagine per 50 euro, illustrate con le riproduzioni di storici menù. «Mi porti la carta», si diceva, ma i camerieri solleciti, te lo porgevano prima di finire la frase. Una pagina, due, o diverse rilegate con copertina più o meno elegante. Già dal menù potevi intuire che cosa ti aspettasse. Ero e sono diffidente per le carte in cui si abusa degli articoli, «il dentice in crosta», o «la pasta al sugo della nonna», un trucco per spacciare il cuoco come chef stellato. Sono superflui, come quasi sempre gli aggettivi. Più affidabili le vecchie osterie, dove il padrone ti consigliava un paio di piatti del giorno.
Il menù, Speisekarte in tedesco, nacque in Francia, dopo la rivoluzione, i cuochi che avevano preparato le loro specialità per i nobili, capirono che dovevano spiegare i manicaretti ai loro nuovi clienti, non bastava dire bollito o fritto. E i borghesi, i nuovi ricchi, ci tenevano a sapere che cosa avrebbero ricevuto per i loro franchi, quanti e quali contorni? L’usanza fu imitata negli altri paesi europei. La qualità della carta era importante per intuire la bontà delle pietanze, e prevedere il conto. E anche la calligrafia, elegante e chiara. Fino a pochi anni fa, ristoranti e perfino trattorie e pizzerie, restarono fedeli al menù scritto a mano, rinunciando alla macchina da scrivere e, più di recente, al computer.
La storia dei menù ci ricorda che appena ieri eravamo più carnivori, al tempo della fiorentina, oggi giustamente siamo stati convinti a ridurre la carne, e non manca una sezione per i vegetariani o i vegani. Si cominciò a illustrare le carte con disegni, altra prova di raffinatezza o di genuinità per i locali che offrivano cucina casareccia o regionale. «L’Escargot» di Parigi, nel 1905, scelse ovviamente come simbolo una lumaca, il «Pinguin» di Lipsia, nel 1965 nella comunista Ddr, scelse un pinguino. Il ristorante «The Bailey» di Dublino nel 1808 a ogni pietanza aggiunse una caricatura di donna, popolare e sexy: per il petto di vitello, una signora dal seno abbondante, per le bistecche, una ragazza dal sedere vistoso. Sarebbe piaciuta a Leopold Bloom, il sensuale protagonista dell’ Ulysses di Joyce.
Oggi molte carte verrebbero condannate come razziste, perché ricordavano l’origine etnica delle pietanze, cotolette alla zingara, spaghetti alla napoletana. Alle illustrazioni oggi rimangono fedeli i ristoranti cinesi, che con le foto spiegano senza parole cosa si nasconda dietro il pollo alla cantonese. In una pizzeria di Francoforte, gestita da tedeschi, anni fa, accanto alla pizza alla mafiosa, appariva una lupara.