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 2022  novembre 03 Giovedì calendario

Intervista a Valeria Solarino

«Non conoscevo Lucia Bosè, se non per pochi film. Altre erano le attrici che ho amato degli anni 50, la Magnani più di tutte. Avvicinandomi però ho capito che è personaggio che mi piacerebbe raccontare a tutto tondo: ha avuto una vita incredibile. Ribelle e irrequieta, ma molto sola, fu amica di Visconti e di Picasso, lei stessa pittrice». Musa del primissimo Antonioni, fidanzata di Walter Chiari e poi sposa di Luis Miguel Dominguín, Lucia Bosè lasciò la carriera molto giovane per un marito prepotente e per fare la mamma (di Miguel, Paola e Lucia). Morta nel 2020 stroncata dal Covid, in Bosè (da oggi su Paramount+), biopic seriale dedicato al figlio Miguel, popstar popolarissima in Spagna e nei paesi latino-americani, è personaggio importante ma defilato, ed è Valeria Solarino a interpretarla.«Ho cercato la Bosè privata non la diva – dice l’attrice –. Ho visto video e interviste, ma è la biografia che me l’ha svelata. A partire da un’immagine forte: quando lasciò Milano sotto i bombardamenti, nella concitazione, venne dimenticata. Aveva circa 8 anni e quell’abbandono la segnò profondamente: capì di essere sola al mondo. Una sensazione che non l’avrebbe mai lasciata». Come fu il rapporto con Dominguín?«Fu un colpo di fulmine. Lui disse subito che voleva sposarla. Decisero di smettere entrambi con il loro lavoro. Lei fu fedele alla sua parte del patto: tagliò la parte italiana della sua vita (il cinema, la lingua, la cucina). In fondo fu felice di quella vita (per come l’ho letta io, si era sempre sentita “attrice per caso"). Ma il rapporto con “il Torero” fu tormentato: si separarono e fu uno scandalo enorme per i tempi. Ma fu come se non si fossero mai lasciati: lei sempre nostalgicamente legata a una vita e a un ideale di famiglia che non c’era più. DominguÍn morì e lei non andò al suo funerale: “Non sarò mai la sua vedova”, disse». Miguel, lo ha mai incontrato?«Mi sarebbe piaciuto, per potergli chiedere del loro rapporto. Anche qui mi sono dovuta accontentare delle biografie. Della madre parla come un innamorato: ne ricorda la bellezza, la scia del profumo in casa. Lei lo incoraggiò sempre, anche andando contro il marito. Ci fu uno scontro durissimo tra loro quando Visconti, che era padrino di Miguel, gli propose una parte in Morte a Venezia».I n Gerico Innocenza Rosa, a teatro, interpreta un’altra solitudine: quella di un adolescente che cerca di affermare la propria identità sessuale.«È un monologo a tre voci, un flusso di coscienza o forse una seduta psicanalitica, in cui rivivo il percorso – da Vincenzo a Innocenza Rosa – di un ragazzo alla ricerca del suo vero io. È un testo scritto per me da Luana Rondinelli durante il lockdown. L’ho portato in scena nella passata stagione e a breve lo riprenderò. La storia l’ha decisa lei, io le avevo solo chiesto qualcosa in siciliano che mi riportasse alle mie origini». Si parla di identità di genere. Le ha rivelato qualcosa questo testo? «Mai avevo pensato al tema dell’identità in modo così approfondito, a quanto sia importante rifletterci: non solo su quella sessuale come in questo caso, ma sulla nostra in generale. Identità per me era come una specie di zaino in cui mettere le esperienze della vita che determinano carattere e modo di essere, in modo abbastanza automatico. E invece è spogliarsi di tutti i condizionamenti che la società impone, è liberarsi dal bisogno di conformarsi (anche inconsciamente) a quello che gli altri si aspettano da noi».In questi mesi si è molto parlato di gender. Cosa ne pensa del ddl Zan che quel dibattito aveva innescato?«Era eccellente e innovativo. Le leggi non devono solo imporre e reprimere, ma indirizzare, dare esempi positivi. Condannando chi proclama odio o violenza, è un invito al rispetto, alla convivenza e all’inclusività dell’altro. Ma ora è sepolto, penso per sempre. Basta abbozzare l’argomento e subito noti insofferenza. Siamo tornati a un mondo che non prevede sfumature. Ma anche qui: chi ha stabilito quali siano i colori primari?».E di Giorgia Meloni cosa pensa?«Dice “io sono donna”, parla di “soffitto di cristallo infranto”, ma poi si fa chiamare ostentatamente “il presidente”. Bizzarro. Mi pare la donna più uomo che ci sia in politica. Ha avuto grande talento strategico, determinazione e una visione chiara, ma non mi pare fare paura agli uomini: non turba né rompe l’ordine stabilito, che resta maschile e maschilista».Teatro a parte, nel suo futuro?«Sto finendo The Cage sulle MMA femmnili, tema interessante, insolito per un film. Mentre uscirà a breve “Quando di Walter Veltroni. Dal suo libro, la storia di un ragazzo che, dopo un incidente durante i funerali di Berlinguer, cade in coma e si risveglia 30 dopo: lui è Neri Marcorè, io sono la suora che lo ha assistito per anni e poi lo accompagna nella sua riscoperta del mondo».—