La Stampa, 3 novembre 2022
Intervista al direttore d’orchestra Beatrice Venezi
Beatrice Venezi, 32 anni, lei è diventata famosa come la direttrice d’orchestra più giovane d’Italia. È ancora così?
«Il direttore, prego. Non mi sono mai venduta come la più giovane, ora non saprei e spero di essere riconosciuta per quel che faccio».
In effetti è molto attiva sia in Italia sia all’estero. Ci aggiorna sulle sue imprese?
«Sono diventata direttore artistico di Taormina Arte, dove mi occupo del rilancio del Teatro Antico e del ritorno della produzione locale di spettacoli. Poi da freelance ho lavorato come direttore d’orchestra all’Opéra di Metz in Francia della Madama Butterfly di Puccini, dell’orchestra di Buckingham Palace a Londra per il Giubileo della Regina e dell’Orchestra filarmonica di Nagoya in Giappone».
Al suo terzo libro per Utet, L’ora di musica, è ormai pure una scrittrice?
«Mi piace divulgare quello che studio. Sono nata da una famiglia che mi ha sempre dato grandi stimoli, ma senza musicisti. Per cui mi rivedo in chi ne vorrebbe sapere di più, fino a trovare il grande amore».
Che è la musica?
«Ho fatto grandi sacrifici per lei. Ne L’ora di musica suggerisco una metodologia diversa per conoscerla. Troppe persone non vi si avvicinano per timore reverenziale. Non è così e provo a spiegarlo con lezioni sparse per stimolare la curiosità di tutti, da Giuseppe Verdi ad Astor Piazzolla e John Cage».
Per la musica ha rifiutato la candidatura con Fratelli d’Italia?
«Mi piace il mio mestiere, anche se credo sia importante parlare di cultura in termini politici perché è stata una parola abbandonata per troppo tempo. Invece significa l’identità di un popolo e la valorizzazione delle eccellenze di una nazione».
Parla come Meloni?
«Ci lega un rapporto di stima ed amicizia. Non mi vergogno di sostenere una donna che ha fatto la Storia diventando la prima donna premier».
Pur non candidandosi, le ha dato qualche suggerimento?
«Le ho sottoposto una serie di temi, come appunto la marginalità della cultura. Le varie amministrazioni non pongono sufficiente attenzione a un settore che può essere un volano del Paese. All’estero siamo famosi per la musica classica».
Serve più attenzione all’ora di musica?
«Occorre una nuova idea di divulgazione, a partire dal servizio pubblico. Dalla scuola alla tv vanno creati spazi dove trasmettere contenuti alti in modo appassionante per tutti. Andrebbe rivisto poi il Fondo unico sullo spettacolo, aiutando le orchestre locali come in Germania. E lo status degli artisti, che in Francia viene garantito dalle intermittenze lavorative».
Ha ascoltato il discorso di Meloni?
«Me lo sono sentito tutto. Per me, ripeto, è stato un evento storico».
Cosa ha pensato del passaggio sul fascismo?
«Tutto quello che ha detto mi è sembrato di grande buon senso. E mi è dispiaciuto che, nonostante gli sforzi, abbia ricevuto critiche strumentali. Solo Cacciari ha riconosciuto i suoi passi avanti, segno che anche da sinistra si può guardare a lei senza pregiudizi».
Cosa è successo alla destra italiana secondo lei?
«C’è stata un’evoluzione importante. Oltre al percorso storico, Meloni ha sovvertito gli schemi mandando in corto circuito le sicurezze della sinistra: si è affermata senza quote rosa, in un partito conservatore, e portando a votarla un popolo non tradizionalmente di destra».
E lei dove si colloca in tutto questo?
«Sono nata nel 1990, ho vissuto l’ultima parte di questa storia e mi riconosco nel conservatorismo».
Il direttore d’orchestra, il presidente del Consiglio, farsi chiamare così è una provocazione?
«No, significa riconoscere il ruolo senza distinzioni di genere. Il rischio che io vedo per la mentalità italiana è che se Meloni fallisse si farebbe di tutta l’erba un fascio: “Era una donna”. Mentre non è così, è il merito del singolo che conta».
Allora le piace il nuovo ministero dell’Istruzione e del Merito?
«Se l’Italia si basasse sul merito sarebbe una delle prime potenze mondiali. Si preferisce lo status quo alla valorizzazione dei migliori. Un insegnante assenteista per esempio è trattato al pari di uno che si impegna per i suoi allievi, mentre non devono essere considerati allo stesso livello».
Non trova che la scelta di Eugenia Roccella alla Famiglia, Natalità e Pari opportunità sia un segnale negativo per il diritto all’aborto?
«Non temo nessun arretramento sui diritti delle donne, mentre penso si voglia aiutare chi non ha la possibilità di crescere figli».
È favorevole al diritto all’aborto?
«Sì, va data a ogni donna la possibilità di scegliere. La barbarie invece mi sembra l’utero in affitto».
Esiste un femminismo di destra?
«Secondo me sì, se significa avere a cuore le nostre istanze fuori dalla retorica e dall’ideologia. Anche perché, dopo avere ottenuto divorzio e aborto, sulle retribuzioni siamo al palo da anni. È ora di cambiare strategia e badare al sodo».
Meloni sostiene che chi nello spettacolo rivela di essere di destra non fa carriera. Il suo caso non la smentisce?
«Ho avuto delle cancellazioni, anche se non dico dove, ma per fortuna lavoro molto all’estero. E poi sono una pazza idealista, come mi ha detto Nicola Porro».
Se non vuole fare politica qual è la sua ambizione?
«Lasciare un segno nella musica e nella percezione del nostro patrimonio artistico. Vorrei essere un…».
Un’ambasciatrice della musica italiana nel mondo?
«Ambasciatore, e non solo nel mondo».
Nello spazio?
«Nel metaverso. Intendo anche in Italia, nei piccoli comuni, tra di noi, nella socialità messa alla prova dai social network».
Ha visto che ora ci sono le sonate scritte dall’intelligenza artificiale?
«Credo nella tecnologia al servizio dell’umano non viceversa. Mi piacerebbe creare un linguaggio ibrido tra opera e cinema, che è la naturale evoluzione dell’opera lirica. Potrebbe essere la via per riportare la musica classica al grande pubblico». —