Corriere della Sera, 3 novembre 2022
A proposito del merito
Le critiche sollevate contro Giorgia Meloni quando ha deciso di aggiungere il termine «merito» al ministero dell’Istruzione non sono diverse da quelle che ci sono state in passato in occasione di tentate riforme della scuola da parte di politici come Mariastella Gelmini e Matteo Renzi (la «buona scuola»). E anche questa volta sono essenzialmente di natura ideologica: criticano l’idea che il merito alla fine sia poco «giusto» perché qualunque sua misura e utilizzo penalizza i più deboli. Su questo quotidiano ha autorevolmente risposto Galli della Loggia spiegando che il merito deve essere difeso non perché è «giusto» ma perché una scuola di qualità favorisce la crescita economica e sociale proprio di quei gruppi che i detrattori del merito dovrebbero difendere.
Io sono ovviamente d’accordo con Galli della Loggia, ma vorrei aggiungere un contributo su come e dove promuovere il merito nell’istruzione con maggiore priorità per evitare l’ennesimo fallimento in 50 anni. Lo farei con tre domande concrete per Giorgia Meloni.
1. Cosa vuole dire «più merito nella scuola» e dove? Leggendo le idee di diversi intellettuali e manager vicini a FdI (non formalmente nel programma di Giorgia Meloni) si ha l’impressione che si voglia offrire la scelta agli italiani tra una scuola di élite e del rigore degli studi e una «scuola della socialità», dove si fa poco e lo studio serve a meno. Sarebbe una fuga dal problema perché si creerebbe un «giardinetto del merito» senza attaccare il vero problema che è quello della scuola di «massa», quella degli istituti tecnico- professionali e dei licei in periferia e al Sud. Oggi le scuole di élite ci sono già e sono i migliori licei classici e scientifici nel centro di Milano, Roma e altre grandi città dove non si studia affatto male. Per aumentare la meritocrazia basta lasciarle libere di selezionare gli alunni per merito (test d’ingresso) e non per censo (ci vanno i più ricchi che vivono in centro). Il problema sono le altre scuole, in particolare i tecnico-professionali, soprattutto al Sud, nelle quali la maggioranza degli studenti riceve un pessimo servizio. Non si tratta solo di una cattiva istruzione, ma anche della incapacità delle scuole di certificare il merito, per colpa di un esame di maturità che ha perso credibilità. La cosa è meno grave per i licei perché anche se quelli del Sud continuano ad avere il doppio dei cento e lode di quelli del Nord, alla fine la selezione avviene comunque, dato che la maggioranza dei liceali va all’università che, non fidandosi dei voti della maturità, riseleziona grazie ai test di ingresso. È invece molto più grave per i diplomati delle scuole di massa, soprattutto di quelle tecniche-professionali, che entrano direttamente nel mondo del lavoro che li trova inevitabilmente impreparati e poco valutabili in base al voto del diploma. E non aiutano un apprendistato e un’alternanza scuola-lavoro indietro anni luce rispetto all’Europa di lingua tedesca.
2. Come intende promuovere il merito nella scuola? La chiave sarebbe la valutazione delle scuole che da noi è stata sempre una mission impossible. E dire che i test Invalsi rilanciati dalla Gelmini offrono l’opportunità di farlo. La maggioranza dei genitori (e dei politici) ignora che i test non servono solo a valutare un singolo studente (come un voto) ma a valutare intere classi e scuole perché è dimostrato che il rendimento medio di una classe o di una scuola è funzione della qualità dei suoi insegnanti. Lo sanno bene gli insegnanti mediocri che non vogliono essere valutati e per questo condannano i test come «quiz»; così, purtroppo, le loro opposizioni con l’aiuto dei sindacati e di molti «esperti» hanno reso la lodevole iniziativa del ministro Gelmini una «meritocrazia delle carte bollate» che impegna milioni di giovani ogni anno, ma non serve a nulla. Non basta. Valutare le scuole significa valutare essenzialmente i loro presidi che sono a loro volta gli unici a poter valutare i singoli insegnanti. Solo che negli anni sono stati privati del loro potere e, quando Renzi ha provato a restituirglielo con la «buona scuola», lo hanno accusato di volere creare «presidi sceriffi». Giorgia Meloni intende essere il primo premier a voler valutare seriamente (non con l’«autovalutazione») le scuole, magari usando le leve e le idee di politici di uno schieramento oggi a lei opposto? Intende mobilitare i genitori per creare un consenso contro chi si oppone alla misura del merito?
In che modo e dove
Come introdurre e sviluppare la meritocrazia nell’istruzione italiana? Alcuni spunti sui quali cominciare a ragionare
3. La terza e ultima domanda è: perché il merito solo nella scuola e non nell’università? Alla fine la nostra scuola riesce a fare benino il suo dovere come testimoniano i nostri test Pisa (una specie di Invalsi che permette di paragonare le scuole di diversi Paesi). Il disastro sono le nostre università perché mancano quelle di eccellenza che all’estero sono i veri motori dello sviluppo dell’economia della conoscenza di questo secolo: non ne abbiamo una tra le prime 100, mentre ne ha due la Svizzera dietro l’angolo e grande come la Lombardia. Non è solo un problema di eccellenza ma anche di quantità di laureati perché ne abbiamo troppo pochi e non solo per colpa del «piccolo è bello» (sono le grandi aziende che assumono i laureati), ma anche perché le università non preparano e non certificano la preparazione, per cui un laureato italiano non è pronto ad assumere quei compiti che richiedono un minimo di leadership e, anche se per caso è pronto, non lo sa nessuno. C’è un problema gigantesco, soprattutto nelle lauree «deboli», di formazione per l’ingresso nel mondo delle imprese che viene visto con disinteresse (e spesso anche con disprezzo) dalla élite universitaria che vede la missione degli atenei unicamente come «fare cultura».
Tutto ciò porta a un endemico e cronico rifiuto da parte dei docenti nei confronti della competizione (rifiuto delle classifiche mondiali) e della valutazione dei singoli atenei. Senza competizione la meritocrazia non può nascere e perciò se all’estero le università sono i templi della meritocrazia, da noi sono i bastioni del nepotismo.
Introdurre il merito nell’istruzione italiana è una ottima priorità per il governo Meloni. Andare oltre il cambio di un nome al ministero non sarà facile. Avere chiare risposte alle domande di cui sopra sarebbe un ottimo primo passo.