Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  novembre 03 Giovedì calendario

La commedia hollywoodiana di Welles

La “prima” di The Blessed and the Damned di Orson Welles ebbe luogo il 19 giugno 1950, dopo prove frenetiche e ben tre rinvii, al teatro Édouard VII di Parigi. Alla serata di gala, oltre a Duke Ellington, Deanna Durbin e Elsa Schiaparelli partecipò, accompagnata dal marito Alì Khan, Rita Hayworth. Un arrivo clamoroso: Orson e Rita avevano divorziato solo due anni prima, e rivederli insieme fece annusare un riavvicinamento. «Non c’è nulla di strano», smentì subito Welles, «Alì, Rita ed io siamo buoni amici». D’altronde in quei giorni il suo cuore batteva per l’afroamericana Eartha Kitt, protagonista della seconda parte dello spettacolo, il faustiano Time Runs.
La prima parte dello show, più leggera, era costituita dalla commedia The Unthinking Lobster, è di questa che qui si parla, perché il suo testo, rititolato Miracolo a Hollywood, esce ora per la prima volta in Italia (da Sellerio, con traduzione e nota di Gianfranco Giagni). L’unica altra pubblicazione risale a settant’anni fa, in lingua francese per l’editore La Table Ronde, un’edizione limitata a 57 esemplari (uno dei quali nella mia libreria, ma sospetto siano state fatte delle ristampe). La commedia non è dunque sconosciuta, ma è comunque pochissimo studiata. In Italia se n’è parlato giusto in un saggio di Marco Vanelli e Davide Zordan su Cabiria e in un vecchio libro del sottoscritto; e l’inglese Simon Callow gli ha dedicato alcune pagine in uno dei volumi della sua monumentale biografia wellesiana.
Il lascito di Welles è una cornucopia d’intelligenza e di bellezza: dove tocchi, trovi una gemma, basta mettere la mano nel mucchio.The Unthinking Lobster, o Miracolo a Hollywood che dir si voglia, è un gustoso attacco alla Mecca del Cinema, un comico j’accuse contro lo sfruttamento della fede religiosa a fini commerciali, e un inno umoristico alla superiorità del falso sul vero.
L’incidente scatenante è ambientato sul set di una pellicola neorealista, Gli amori di Sant’Anna, protagonista una santa in grado di guarire gli infermi. Protestata dal regista per la sua incapacità, la prima attrice viene sostituita da miss Pratt (Suzanne Cloutier, la Desdemona con cui Welles cercava di completare il suo eterno Otello ), dattilografa del burbanzoso Beehoovian, produttore del film (interpretato dallo stesso Welles); indossato il costume di scena, miss Pratt opera dei veri miracoli! L’avvenimento trasforma Hollywood in una sorta di città santa, dove gli spettatori smettono di andare al cinema per raccogliersi in preghiera. Alla prospettiva di chiudere bottega, Beehovian accetta di firmare un accordo con un arcangelo: il Cielo smetterà di trasformare le dattilografe in sante e in cambio Hollywood non si occuperà più di religione.
Fra i personaggi della commedia, c’è una caricatura della giornalista di gossip Hedda Hopper, arcigna nemica di Welles dai tempi di Quarto potere, un arcivescovo che non crede in Dio (interpretato da Hilton Edwards, che aveva appena smesso i panni di Brabanzio nell’ Otello ) e il finto arciduca russo Michel (Frédéric O’Brady), in cui si riconosce un ricordo del sedicente principe Michal Waszynski, responsabile della seconda unità di Otello.
Penalizzato dal fatto di essere recitato in lingua inglese, dopo un iniziale successo il doppio spettacolo The Blessed and the Damned
chiuse rapidamente le repliche: d’altronde a Welles serviva soprattutto a recuperare denaro per completare il suo film shakespeariano e pagare i suoi attori. Ma Miracolo a Hollywood non va sottovalutata, innanzitutto perché illustra in un colpo solo ciò che Welles pensava di Hollywood e del suo diretto opposto, il neorealismo: il regista italiano del film sulla santa, chiamato Alessandro Sporcacione, è presente attraverso una voce fuori campo irosa e volgare (doppiata all’epoca da Lucio Ardenzi), ed è una trasparente presa in giro di Rossellini e del suo metodo. In questa commedia si ritrova fra l’altro una delle battute che Orson pronunciava spesso in privato, meglio se c’erano in giro dei nostri connazionali: «tutti gli italiani sanno recitare ma i meno bravi sono proprio gli attori».
In un testo dello stesso periodo, Welles scriveva allusivamente: «una delle leggi più sicure del teatro è che non si può trarre una farsa da ciò che è già una farsa in sé. Questo è forse il motivo per cui capita così raramente di essere divertenti a coloro che pretendono di trattare in modo umoristico le cose del cinema». Pur mettendo in scena la farsa del cinema, questo testo riesce divertente, a tratti spassoso. Miracolo a Hollywood,sì, ma anche miracolo di Welles.
C’è una presa in giro di Roberto Rossellini e degli italiani: sanno recitare ma i meno bravi sono gli attori