Corriere della Sera, 2 novembre 2022
Riscoprire Ledda
SILIGO (SASSARI) «Abbiamo una poetica per il XXI secolo. Un canto all’impossibile. Chi ne fa più? aurumTellus di Gavino Ledda è una nuova impresa cosmogonica». Carlo Ossola, filologo e critico letterario, docente nelle Università di Padova, Torino, Ginevra e da vent’anni al Collège de France di Parigi, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei e di altre istituzioni analoghe in Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna, sta tenendo la lectio magistralis Maieutica di un testo. Vanni Scheiwiller e Gavino Ledda nella Sala Napoleonica dell’Università di Milano, in occasione del ventennale del centro Apice (Archivi parola immagine comunicazione editoriale) del Dipartimento di studi storici dell’ateneo milanese.
Seguiamo la lezione del professor Ossola insieme con Gavino Ledda, in collegamento video da casa sua, a Siligo, perché a Ledda è stato assegnato il Premio Cesare Pavese-Poesia 2022 proprio per il suo poema aurumTellus, pubblicato nell’ottobre del 1991 dall’editore Scheiwiller, e proprio grazie alla proposta di Carlo Ossola, «giurato di riferimento» del premio per la sezione poesia.
L’autore di aurumTellus, e nel 1975 del capolavoro Padre padrone – tradotto in 47 lingue e tuttora letto in tutto in mondo come se fosse stato pubblicato ieri —, ritirerà il premio il 5 novembre prossimo durante la cerimonia che si terrà a Santo Stefano Belbo (Cuneo), il paese natale di Pavese, dove, dice Ledda mentre ascoltiamo Ossola, «mi hanno chiesto di fare un breve discorso, ma io francamente non so cosa dire, forse potrei recitare, o meglio cantare, qualche pagina di aurumTellus, però dovrei star bene con la voce, che in questo momento non è nelle migliori condizioni».
Il poema aurumTellus va poco recitato, molto cantato e molto pianto, perché – spiega Ledda – non potrebbe essere diversamente per un poema omerico e per un discendente diretto di Omero quale egli si sente. Non è delirio di onnipotenza, e nemmeno delirio semplice, l’accostamento di sé stesso a Omero, perché quasi nello stesso momento Ossola ne fa un altro, fra Ledda e Esiodo: «Ledda è un visionario esiodeo – dice Ossola – e aurumTellus si può paragonare a Le opere e i giorni di Esiodo».
Ledda ascolta in silenzio, concentrato, emozionato. Poi dice: «Già da studente, all’Università La Sapienza di Roma, dove come professore di Latino avevo Ettore Paratore, ero convinto che mancasse un Lucrezio degli anni presenti. Ecco, per me aurumTellus è la prova generale di un De rerum natura per gli anni 3000. Ti rendi conto del coraggio che ho avuto allora?».
Ledda ha lavorato al suo poema per dieci anni, dal 1978 al 1988. Poi, grazie a due sardi molto colti e influenti – l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, amico di Gavino e suo dirimpettaio di casa a Siligo, e l’economista Paolo Savona —, ecco l’incontro con Vanni Scheiwiller, editore di libri preziosi, sia nel contenuto, sia come oggetti di arte tipografica.
Nel 1991, finalmente, aurumTellus vede la luce. Ed è, dice Ossola, «una vera impresa di arte tipografica, bellissimo, paragonabile al “libro imbullonato” di Fortunato Depero. Ricco di invenzioni ariostesche, il poema di Ledda è un gorgo, un contorcimento di sillabe, una polifonia di crescite e decrescite vocali, segnate anche dall’aumento del corpo tipografico delle lettere, un poema che va da Stéphane Mallarmé ai futuristi». Il libro oggi è introvabile, non lo avevano nemmeno negli archivi del centro Apice, fino a quando Ossola, alla fine della sua lectio, non gliene ha donato l’unica copia in suo possesso.
Gavino Ledda ha sempre detto che questa di aurumTellus doveva essere «una narrazione ad andatura di natura, che segua il bios, la vita», e infatti per comporre il poema ha studiato per dieci anni anche la fisica e la chimica. Tanto che Scheiwiller voleva che a scriverne l’introduzione fosse Carlo Rubbia. Cosa che poi non avvenne (la postfazione invece è di Paolo Savona), ma che non cambiò la vita di Gavino: i protagonisti del poema restarono gli stessi: gli elementi della natura. «aurum, l’oro, è considerato per il suo valore dai venali, non certo dalla natura – dice Ledda —, perciò l’ho scritto in minuscolo, al contrario di Tellus, Terra. Il titolo vuol dir questo, La Terra è oro».
La parola umana, nel poema di Gavino Ledda, è, come dice Ossola, «radice e corolla dell’universo». O del «tuttiverso», come preferisce definirlo l’autore di aurumTellus, che ha scritto la sua opera in quattro lingue – italiano, sardo, latino e greco antico —, arricchendola di partiture musicali scritte da lui, disegni, versi animali, lettere disseminate come asteroidi o inanellate come perle di una collana o incatenate come formule chimiche, fonosimbolismi, illustrazioni tratte da libri sulla materia e sull’energia. Un rigo, un verso. E ogni verso comincia con la congiunzione «e». Perché? «Tutte quelle “e” sono necessarie, sono la forza di gravità del poema. La “e” in questo poema è la congiunzione tuttiversale», dice Gavino, come se stesse dando la più ovvia e naturale delle risposte. E le pagine di musica? «La parola è musica essa stessa». I versi? I rumori? «Non ci sono solo i versi della voce umana. O solo quelli degli animali, o i rumori della natura e delle piante. Nello spazio, ma anche a dieci, ventimila metri sopra di noi, ci sono suoni e reazioni fisico-chimiche, e non solo. Sono altrettante allitterazioni, una specie di polifonia…».
Per cantare aurumTellus, dice Ledda, «ci vuole una nota continua e un apparato fonatorio adatto, e bisogna essere esuberanti, lussuriosi… Vittorio Gassman e Carmelo Bene sarebbero stati perfetti, ma sono morti».
Gavino, dobbiamo chiedertelo: ma alla fine cos’è aurumTellus, cos’hai voluto dire con questo poema? «aurumTellus è la rappresentazione della natura e del tuttiverso – risponde lui serafico —. La natura, da quando esiste, è stata sempre bella, ha cambiato sempre forma ma si è ripetuta in maniera cangiante, a dimostrazione che la forma è importante quanto la sostanza, anzi lo è di più. È la forma che può far cambiare la sostanza, non il contrario. Lo dico da poeta: la forma mi ha dato più soddisfazione della sostanza».
Riscoprire, e premiare, un’opera come aurumTellus trent’anni dopo non deve meravigliare, se, come dice Gavino Ledda, «si ha la fortuna, o la grazia, che è toccata a me, di ritrovare quell’opera “più giovane” oggi di trent’anni fa, quando l’ho scritta». Anche perché, come sostiene Carlo Ossola, «se ci limitiamo a descrivere, cosa che la fotografia fa meglio, sarebbe inutile scrivere». Gavino Ledda quindi nel 1991 era semplicemente avanti di trent’anni.