Il Messaggero, 1 novembre 2022
Le più belle canzoni secondo Bob Dylan in un libro
Il titolo sembra quello di un saggio di Adorno: Filosofia della canzone moderna. Peccato che a scriverlo sia stato Bob Dylan, uno dei grandi protagonisti di quel rinascimento musicale degli Anni 60 che mise in crisi la teoria del filosofo tedesco sulla banalità e la ripetitività della musica popolare, riscrivendone le regole. A 81 anni il Bardo di Duluth si sveste dei panni del cantautore criptico ed enigmatico che tutti hanno conosciuto, amato e qualcuno pure odiato, per indossare quelli di critico musicale e teorico della canzone cosiddetta leggera che disdegna i successi del momento: «Nella musica attuale non c’è nessun mistero, nessuna sfumatura, nessuna nuance», scrive cinicamente Dylan confrontando il pop di oggi con un gioiellino d’altri tempi come Your Cheatin’ Heart di Hank Williams, vecchia canzone country del 1952. Non è un caso che nel suo saggio su 66 canzoni simbolo della musica popolare non ci siano capitoli dedicati a pezzi rap o pop contemporanei: «Nessuno parla dei propri sogni nelle canzoni oggi: è che i sogni soffocano in questi ambienti senz’aria».
LA TRADUZIONE
Nel Regno Unito e negli Usa il libro che segna il ritorno di Bob Dylan alla prosa a distanza di diciotto anni da Chronicles. Vol. 1 arriva nei negozi oggi. In Italia uscirà martedì prossimo, edito da Feltrinelli, con traduzione di Alessandro Carrera, tra i dylaniati più esperti del nostro paese. Nelle 352 pagine, impreziosite da 150 foto, l’analisi di Dylan parte dal testo delle canzoni ma poi si allarga a riflessioni più ampie sul contesto in cui sono state scritte e sulla società. Il brano più vecchio tra quelli esaminati in Filosofia della canzone moderna è Nelly Was a Lady, scritto da Stephen Foster nel 1849. Il più recente è Dirty Life and Times di Warren Zevon, uscito nel 2003. In mezzo c’è un mondo. Da quella Strangers In The Night resa celebre da Frank Sinatra, a My Generation degli Who e London Calling dei Clash, passando per I Got a Woman di Ray Charles. E a sorpresa c’è anche Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno, tra le canzoni italiane più celebri nel mondo: «Presumibilmente scrive Dylan parla di un uomo che vuole dipingere sé stesso di blu e poi volare via. Volare significa questo: Voliamo via nel cielo infinito. Il mondo intero può anche scomparire, io sono nella mia testa». Sulla copertina del libro ci sono tre star del rock’n’roll dei primordi: Little Richard, Eddie Cochran e Alis Lesley, l’alter-ego femminile di Elvis. In Viva Las Vegas Dylan non manca di criticare il divo di Memphis, schierandosi dalla parte del controverso manager, il colonnello Tom Parker, difeso per essere stato nonostante tutto devoto al re del rock. Non solo: arriva a definire il «vero ambasciatore del rock’n’roll» nel mondo Ricky Nelson, che con Poor Little Fool conquistò gli Usa nel 58. Di Little Richard, che tre anni prima aveva pubblicato Tutti Frutti, dice: «Stava dicendo che di lì a poco qualcosa sarebbe successo. Era un predicatore: con Tutti Frutti suonò l’allarme». Altre perle. Parlando di Pump It Up di Elvis Costello prende in giro i rocker britannici che sfoggiano abiti glamour a differenza di quelli americani «che indossavano invece jeans e stivali da lavoro». Analizzando «Waist Deep In The Big Muddy» di Pete Seeger, canzone di protesta del 67 contro la guerra del Vietnam, Dylan punta il dito contro il «tribalismo dei media moderni» e critica sia «i piagnistei della sinistra» che «le vessazioni della destra». Quando nel 2016 l’Accademia Reale Svedese ha deciso di assegnargli il Nobel per la letteratura per aver «elevato la musica a forma poetica contemporanea», Robert Zimmerman stava lavorando a questo trattato già da sei anni: «Le sue opere dimostrano quanto capisca le canzoni, le persone che le creano e cosa significano per tutti», dice Jonathan Karp, presidente di Simon & Schuster, editore della versione originale.
I FAB FOUR
Una curiosità. Ai Beatles, la band che la musica popolare l’ha definita, fa solo un accenno, citando Do You Want to Know a Secret nel capitolo sulla decisamente meno nota A Certain Girl, canzone r&b incisa da Ernie K-Doe nel 61. Con buona pace del vecchio amico Paul McCartney, che recentemente ha ricordato che fu proprio Dylan a far fumare la prima canna ai Beatles negli Anni ’60: «Le persone possono continuare a provare a trasformare la musica in una scienza, ma nella scienza, uno e uno saranno sempre due - scrive Dylan - la musica, come tutta l’arte, ci dice più e più volte che uno più uno, nelle migliori circostanze, fa tre».