il venerdì, 21 ottobre 2022
Sulla mostra "Bosch e un altro Rinascimento"
Le sue figure mostruose e ibride – che suscitano insieme repulsione, paura e pena – sono tra le più conosciute della storia dell’arte. Di lui invece sappiamo poco. Il cognome della famiglia (tutti pittori) era van Aacken, mentre Bosch deriva dal borgo in cui era nato, ‘s-Hertogenbosch, nel Brabante, oggi Olanda: nel 1480 vi abitavano 2.733 famiglie, ma vantava una fervida vita commerciale, religiosa e culturale. Era sposato a una donna più anziana di lui da cui non ebbe figli, benestante e, a giudicare dal ritratto in età matura, provvisto di uno sguardo fulminante. Stilisticamente quasi arcaico (se confrontato con le novità dei contemporanei Giorgione, Raffaello, Dürer, Tiziano), attingeva il repertorio e la simbologia all’iconografia medievale, al folclore, all’alchimia e alla cultura popolare. Tuttavia le sue immagini erano così stupefacenti che i suoi quadri cominciarono a essere richiesti anche molto lontano. A Venezia arrivarono nei primi decenni del ‘500, per desiderio del patrizio e collezionista Domenico Grimani; in Portogallo poco dopo. Proprio dall’Italia e dalla penisola iberica le fantasie di Bosch si sarebbero diffuse in tutta Europa, generando infinite copie e repliche. Così il successo di questo artista inafferrabile dimostra che un Rinascimento irrazionale, visionario e alternativo era possibile.
Bosch e un altro Rinascimento è infatti il titolo della mostra che si inaugura il di Palazzo Reale a Milano, a cura di Bernardo Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi. Grazie ai prestiti di musei italiani e stranieri, che permettono al visitatore di vedere riunite opere già meritevoli di una visita lì dove si trovano, allestisce un confronto fra alcuni capolavori del maestro e le imitazioni e i rifacimenti della bottega o degli epigoni. Nonché rivela la popolarità dei temi e dei modi di Bosch; la loro precoce influenza (dai disegni di Leonardo allo Stregozzo di Marcantonio Raimondi) e la loro persistenza (si arriva fino al Vertumnus, l’”uomo vegetale” di Arcimboldo). Ma essa dilaga oltre la pittura – dalla scultura ai libri, dall’incisione all’arazzo (si vedano i quattro dell’Escorial, più il cartone preparatorio degli Uffizi del quinto, perduto). Infiniti gli oggetti stravaganti “alla Bosch” prodotti poi nelle arti decorative: tazze, boccali, elmi, calici, caraffe, ampolle, scudi e calamai provenienti da varie collezioni vengono esposte nella sezione che riproduce una vera Wunderkammer, ispirata a quella dell’imperatore Rodolfo II.
Imperdibile il trittico Le tentazioni di sant’Antonio (dal Museu de Arte Antiga di Lisbona). In un paesaggio onirico, e tuttavia olandese (mare, fattorie), il santo è assediato dal Male che prolifera nel mondo, nelle forme più strane. Maghi, sacerdotesse, omuncoli, uomini-piede, orecchio, sedere. Pure l’architettura partorisce, gli esseri umani sono bestie o cose, e viceversa. L’universo è un incubo, tranne Cristo – però crocifisso, esiliato in una cappella in rovina. Antonio sta dialogando con lui, ma guarda noi. Si conoscono 43 versioni delle Tentazioni: due ne possedeva Margherita d’Austria, governatrice dei Paesi Bassi, tre il re di Spagna Filippo II, una delle quali, oggi al Prado, qui figura. La mostra dedica la sezione più affascinante alla fortuna del soggetto e alle sue derivazioni.
Antonio, con Girolamo ed Egidio, torna anche nel Trittico degli Eremiti (in prestito dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia), mentre è solo con l’agnello e una vegetazione malefica Giovanni Battista (dal Museo Lázaro Galdiano di Madrid). Tutti i santi – soli in paesaggi inospitali, braccati da demoni e creature partorite dalla fantasia combinatoria di Bosch – si ostinano a pregare o contemplare, in attesa che Dio si manifesti. Cristo aveva infatti risposto così alla protesta di Antonio: c’ero, vicino a te, ma ho aspettato di vederti lottare.