Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 17 Venerdì calendario

Su "T. Le mie amate T-shirt" di Haruki Murakami (Einaudi)

Haruki Murakami ha tantissime magliette. Talmente tante che ha finito lo spazio negli armadi ed è costretto a tenerle dentro scatoloni di cartone. Questa collezione in costante crescita è il tema di un nuovo libro (Murakami T: boku no aishita T-shatsutachi) uscito in edizione inglese per i tipi della Knopf con il titolo Murakami T: The T-Shirts I Love.

Attraverso una serie di saggi, tradotti da Philip Gabriel, Murakami accompagna i lettori in un viaggio sartoriale, condividendo ricordi e riflessioni proprio attraverso gli abiti che ha accumulato negli anni. Alcune delle magliette citate svolgono la funzione di souvenir, sia dei viaggi che di alcuni momenti-chiave della sua vita. Altre sono dei misteri, come una certa T-shirt gialla con il nome Tony Takitani scritto sopra, che trovò in un negozio di articoli usati a Maui, nelle isole Hawaii (un Tony Takitani immaginario compare come protagonista del racconto omonimo di Murakami nella raccolta I salici ciechi e la donna addormentata). Lo scrittore. un solitario, ha anche la sua brava quota di magliette kitsch, come quella rossa con la scritta I put ketchup on my ketchup (ho messo il ketchup sul mio ketchup). E ce ne sono tante che ha remore a indossare, soprattutto quando non conosce il vero significato che si nasconde dietro. Prima dell’uscita del suo nuovo libro, che è stato accompagnato da una linea di T-shirt e di accessori a tema Murakami della Out of Print, lo scrittore giapponese ha risposto via email ad alcune domande sulla sua collezione e sul valore dello stile personale. 

Il suo libro è un’ode al più elementare dei capi di abbigliamento. Quando si è reso conto che aveva una collezione di T-shirt e non solo un mucchio di magliette? 
«Non è che mi sia mai messo lì a pensare “ora inizio una collezione di magliette”. Semplicemente ne vedevo una, la trovavo carina e la compravo. E poi ne compravo un’altra. In più, me ne regalavano. Le accumulavo nei cassetti, finché non mi sono accorto che erano diventate davvero tante. Ancora adesso scelgo sostanzialmente quelle che mi va di indossare tutti i giorni. Di solito costano poco, e questo semplifica le cose. Non le ho mai collezionate intenzionalmente, insomma, semplicemente andava così. Di certo non mi era mai passata per la testa l’idea di farci sopra un libro». 

Ogni maglietta sembra riportarla a momenti specifici della sua vita: un pasto che ha consumato, una persona che ha conosciuto di sfuggita, un luogo che ha visitato. Che rapporto c’è, per lei, tra i vestiti e la memoria? 
«Ho acquistato molte T-shirt durante i miei viaggi e quando ho vissuto all’estero, tante le ho ricevute da altre persone, quindi è ovvio che vi siano associati molti ricordi. È difficile per me buttarle via quando diventano vecchie, perciò continuo ad accumularle. Quelle veramente lacere, però, le uso quando devo lucidare la macchina». 

Che valore ha lo stile individuale per una personalità del mondo letterario come lei? 
«Il più grande vantaggio nel fare lo scrittore di professione, oltre a quello di non uscire di casa per andare in ufficio o partecipare a riunioni, è essere libero di indossare tutto quello che mi pare. Non ho usato quasi mai una cravatta o delle scarpe di cuoio. In estate, di regola esco in maglietta, pantaloncini e scarpe da ginnastica, e quando comincia a fare più freddo mi metto una camicia col colletto oppure un giacchino sopra la T-shirt, e i pantaloni lunghi invece di quelli corti. E non ho nessuna intenzione di rinunciare a questo stile di vita libero e confortevole. In questo senso, penso di poter dire che le magliette simboleggiano la libertà per me». 

Che ruolo ha l’abbigliamento nella narrativa? 
«Il tipo di vestiti che la gente indossa, e il modo in cui li indossa, dicono qualcosa – anzi, dicono molto – dell’atteggiamento di una persona, che piaccia o no. Perciò raccontare come si vestono i personaggi di un romanzo è un compito importante per uno scrittore, tanto quando descrivere quali cibi amano mangiare e quale musica ascoltano. Non mi dispiace affatto descrivere i vestiti». 

Molte di queste magliette sono state comprate in negozi dell’usato. Cosa le piace di questi luoghi? 
«Di solito vado nei negozi di articoli usati per cercare vecchi LP. Grazie alla catena Goodwill e all’Esercito della Salvezza sono riuscito a comprare parecchi dischi insoliti (jazz e musica classica) e a poco prezzo, per di più. Quando non riesco a trovare niente di interessante rovisto in altri settori, per esempio in quello riservato alle T-shirt. Mi dico: “Già che ci sono… Perché no?”. I negozi di articoli usati negli Stati Uniti sono come un parco di divertimenti per me. Finisco facilmente per passarci delle ore».

E invece qual è il negozio di abbigliamento che frequenta più spesso? 
«È diversissimo da un negozio di articoli usati, ma mi piace il Comme des Garçons che sta nel quartiere Aoyama di Tokyo. È un negozio fantastico. Riesco sempre a trovare un giacchino che si abbina alla perfezione con le magliette sbrindellate che ho accumulato. Comunque, ci vado forse tre volte l’anno». 

Qual è il capo di abbigliamento – non necessariamente una maglietta – a cui tiene di più? 
«Non penso che la indosserò più, ma è proprio una maglietta che ho ricevuto per aver completato la maratona di Honolulu nel 1983, la prima maratona completa che abbia mai portato a termine. Ogni volta che la vedo mi riporta alla mente tanti ricordi».