Corriere della Sera, 1 novembre 2022
Intervista a Francesca Reggiani
«Le pari opportunità uomo-donna? Ma non scherziamo! Lui riesce ad affascinare e ad attrarre pure da vecchio, la ruga fa vissuto e la stempiatura fa intelligenza... Lei ha una data di scadenza come il latte o lo yogurt. Per non parlare poi, come si dice a Roma, “omo de panza, omo de sostanza”, insomma un uomo può pure essere un barile e piacere lo stesso. Mentre le donne devono essere per forza smilze: per piacere all’altro sesso, altissime, finissime, magrissime... Infatti, la vera femme fatale, “c’ha ‘na famme, che nun ce vede...”. E per lei, la dieta, sin dal mattino, prevede un solo biscotto, che sembra un insetto catturato morto: calorie 0,1, cioè quelle che ti danno l’energia sufficiente per rimettere a posto la scatola che conteneva l’insetto. Aggiungo che l’uomo, anche quando da ragazzo era bruttino assai, con gli anni che passano diventa interessante. La donna, invece, può al massimo diventare “interessanda”, un gerundio speranzoso, ovvero: vorrebbe col tempo interessare a qualcuno». Francesca Reggiani, comica e imitatrice, è un vulcano di battute costruite in una lunga carriera («Sì, purtroppo ormai molto lunga...», scherza), iniziata con il diploma al Laboratorio di esercitazioni sceniche del mitico Gigi Proietti.
«Veramente, mi avevano tutti scoraggiato a presentarmi per entrare nella sua scuola, dicendo che era tanto difficile entrare, perché erano tanti gli aspiranti... Quando andai a fare il provino, come una cretina mi preparai pezzi ridondanti, tipo un brano dall’Antonio e Cleopatra, un altro dalla Pazza di Chaillot... sì, proprio ‘na pazza... E vedendo Gigi che, mentre mi ascoltava in platea, si sganasciava dalle risate, ero sbalordita, ho pensato: devo aver sbagliato tutto... Invece no, mi accolse... È stato un grande maestro d’ironia, sì, ma elegante. Non alzava mai la voce anche quando si incavolava e, addirittura, non sopportava vedere qualcuno di noi che masticasse una gomma: se ti beccava, te la faceva sputare... per rispetto al luogo sacro del teatro».
Pari opportunità, zero. E luoghi comuni su uomo e donna?
«Per esempio, quando si parla delle gioie della gravidanza, definendola il periodo più bello della vita di una donna. Io sono madre, ho una figlia, ma non è che nella gestazione me la sia spassata da morire... un paio di momenti meglio della gravidanza ce li ho avuti... E poi, sin da piccole, ci ripetono che l’amore è una cosa meravigliosa, dura per sempre. Per quanto mi riguarda, è stato un disastro quando scoprii una tresca tra il mio compagno di allora, oggi ex compagno, con una certa Rita».
In che modo lo scoprì?
«Lui era nella doccia e io comincio a sentire una serie di “din din din” che provenivano dal suo cellulare. Non sono un’impicciona, non ho mai controllato nessuno, ma quella volta l’occhio mi scivola sull’apparecchio, ce l’avevo vicino vicino sul comodino... impossibile non vederlo, anche perché si illuminava a ogni din... Vedo una serie di messaggini, cuoricini, bacini inviati da una certa Rita. Così, quando lui esce dalla doccia, gli chiedo: mi puoi dire chi è questa Rita? Gli è venuto un colpo: mentre indossava l’accappatoio, stava fischiettando e il fischio gli è andato di traverso. Quando si è ripreso, mi chiede da “finto ingenuo”: hai detto Rita? E io ribatto: sì, Rita... Poi ho aggiunto la fatidica domanda che, in realtà, sarebbe meglio non fare mai..».
Quale?
«Questa tizia cos’ha più di me? E lui risponde: più di te niente, semmai ha 15 anni di meno».
Chi è la «Gatta morta» che recita in palcoscenico, il 14 marzo al Teatro Manzoni di Milano?
«Il “gattamortismo” è un esercizio importante e si deve imparare molto bene per poter conquistare la preda. Prima cosa, la donna non deve straparlare, perché per il maschio è fondamentale essere ascoltato, quindi devi far finta di pendere dalle sue labbra, come se lui fosse un Premio Nobel. E, quando lui sta parlando, puoi fare solo compiacenti esclamazioni, tipo: ah! uh! oh! Le consonanti non sono ammesse. Inoltre, se sei particolarmente brava, puoi anche aggiungere qualche parolina in francese: cheri, mon amour, senza però sbagliarti con “carrefour”, che è una catena di supermercati».
Tanto teatro, tanta televisione con Serena Dandini, ma anche un’esperienza cinematografica con un altro maestro: Federico Fellini...
«Mi prese per una comparsata nel film E la nave va, poi per una parte un po’ più consistente nell’Intervista e, in questo caso, sono stata un’imbecille».
Perché?
«Federico arrivava presto la mattina, quando ero ancora al trucco, e scriveva lì per lì tutte le battute che dovevo dire su dei fogli di carta, che poi mi affidava... Sul set io li recitavo, poi li accartocciavo e li buttavo: se mi fossi tenuta tutti quei testi, scritti di suo pugno, avrei potuto pubblicarli, sarebbe stato bellissimo! Io, una autentica cretina».
La sua imitazione tra le più riuscite?
«Sabrina Ferilli, perché è proprio lei che ha presa sul pubblico... la amano spudoratamente. Oltretutto l’ironia di Sabrina è eccezionale e una delle sue battute che, in questo periodo, riprendo spesso è quando dice: c’ho sempre avuto er core a sinistra, ma vorrei dì al Pd de non litiga’, perché se può perde’ benissimo pure andando d’accordo!».
Però lei ha fatto un’imitazione molto ben riuscita di Giorgia Meloni, molto prima della vittoria alle elezioni...
«E nei primi tempi l’ho associata all’imitazione di Maria Elena Boschi, all’epoca ministro, poi con Concita De Gregorio: la comicità, infatti, si fa sugli estremi, e più distanti di queste due da Giorgia, non ce ne sono... La Boschi toscana, la Meloni romana; la De Gregorio raffinata dei quartieri alti, la Meloni della Garbatella».
Si è mai arrabbiato qualcuno per la sua imitazione satirica?
«In generale, i personaggi non disdegnano l’essere imitati, è una forma di pubblicizzazione che non dispiace e, se la parodia è ben fatta, semmai si compiacciono: in fondo, è una sorta di omaggio alla loro notorietà. Però ho saputo che si è un po’ risentita Maria Giovanna Maglie... E anni fa ci fu tutta una polemica quando imitai Sophia Loren, facendole dire: “Quanto è bella Napoli, vista dal mio attico di Manhattan... è la distanza giusta, salgo in terrazza col binocolo, la vedo da lontano, mi arriva la sua poesia e non sento la puzza”. Venni attaccata da tutti, ma non volevo offendere Napoli, figuriamoci! La adoro e oltretutto mio padre è napoletano... E quella battuta la dicevamo tra noi in famiglia, perché era l’epoca della spazzatura da cui era sommersa la città. Inoltre, sono stata bacchettata per un’altra frase in una imitazione di Ferilli. Sabrina diceva: “La vita è una questione di cu... o ce l’hai o te lo fanno”. Una sua filosofia esistenziale, ma una signora mi mandò un messaggio risentito sulla mia pagina facebook: “Cara Reggiani, ma lei alle persone che si fanno veramente il cu... non ci pensa?” Figuriamoci se volevo offendere veramente la gente che si fa il cu...».
A proposito di famiglia: da chi ha imparato o da chi ha in qualche modo ereditato il mestiere: da suo papà napoletano?
«Innanzitutto preciso che ho ascendenze non solo napoletane, ma anche milanesi, dato che tutto il resto della mia famiglia, madre, nonni, zii sono tutti di Milano. E proprio mio nonno, un anarchico che finì in carcere perché antifascista, era distributore di giornali, tra cui le riviste satiriche “Cuore” e “Il male”... forse qualcosa da lui mi è arrivata. Per quanto riguarda mio padre, in verità, quando mi chiese: cosa vuoi fare da grande? Mi vergognavo a rispondere che intendevo fare l’attrice...».
Cosa rispose?
«Il mimo».
Il mimo?
«Sì, mi sembrava una roba strana... e infatti l’ho preso in contropiede... rimase interdetto, a bocca aperta... di sale!».
Hanno tentato di dissuaderla?
«Mi disse categorico: ti diamo un tempo per provare, poi vai a lavorare seriamente...».
Come si prepara all’imitazione di qualcuno?
«Il percorso è principalmente quello dell’ascolto».
Il personaggio più difficile da imitare?
«Ho avuto difficoltà con Alfonso Signorini e con la Santanché: li ho provati per “La tv delle ragazze”, ma non sono mai andati in onda... non funzionavano e ho lasciato perdere. Un’altra piuttosto difficile per me è stata Alba Parietti: non ha una voce molto riconoscibile e allora io le ho messo in bocca una specie di fischio».
Quello più facile?
«Beh... certamente Enrica Bonaccorti, che è anche la più identificabile».
Ma oggi ha ancora senso la satira di destra o di sinistra?
«Effettivamente a volte mi pongo la domanda. Viviamo in un mondo piatto, dominato da un pensiero unico, siamo soggetti a una specie di censura, per cui l’attore-comico deve stare attento a tutto e a tutti, al lecito e all’illecito. Però se non hai la possibilità di esprimerti liberamente, è un vero disastro. Bisogna avere il coraggio di dire sempre e comunque quello che si pensa, magari accettandone le conseguenze».
Ha mai pensato di imitare Putin o Zelensky?
«Assolutamente no! Stiamo vivendo una vera tragedia, non si può fare satira in un momento del genere, in cui mi sento, come tutti, confusa e spaventata. E poi, francamente non hanno per me un fascino tale che possa spingermi a studiarli sotto questo profilo... Che battute potrei mai inventarmi? La situazione è quella che è e mi fanno davvero pena i giovani: al contrario di quando ero ragazza io, oggi un verbo al futuro non si usa più, non viene insegnato nemmeno a scuola, viene utilizzato solo il condizionale. Oggi è difficile per le nuove generazioni immaginare il domani: invece di farò, andrò, lavorerò, si dice farei, andrei, lavorerei... E che tristezza!».