la Repubblica, 1 novembre 2022
Lula, un tonico per le sinistre depresse
Così Giorgia Meloni ha mandato i suoi primi messaggi: l’ergastolo ostativo, lo scioglimento del rave party illegale di Modena, le misure anti-Covid e altro. È un dialogo con chi l’ha votata o potrebbe votarla in futuro. Anche la sinistra ha bisogno di segnali, anzi di vessilli.
La sorte gliene ha fornito uno rilevante: la vittoria di Lula in Brasile contro l’impresentabile Bolsonaro. Non è “un trionfo”, come qualcuno commentava ieri, tuttavia è un’affermazione carica di significati per gli sconfitti del 25 settembre. Lula è un tonico per le sinistre depresse. Si dimostra che le disfatte sono transitorie e che c’è sempre la via della rivincita per chi sa percorrerla. Come è ovvio, a sinistra si tende a sovrapporre l’immagine di Bolsonaro, il populista di estrema destra per eccellenza, a quella del governo Meloni. Nel gioco di specchi e sul piano dei simboli, Lula avrebbe così vendicato anche la sinist ra italiana, in attesa che i bolsonari italiani finiscano per inciampare. Il paragone non reggerebbe – dal momento che Giorgia Meloni non si è mai mescolata con il brasiliano – se non fosse che Salvini aveva rilasciato giorni fa un video di sostegno al presidente in carica. Lui e Trump si sono esposti per Bolsonaro e oggi la sconfitta di quest’ultimo è anche la loro.
Per tornare alla sinistra, l’enfasi su Lula è comprensibile in questi frangenti. Purché non si perda di vista la realtà. In apparenza, infatti, il modello sudamericano ha poco da insegnare alla sinistra europea, in particolare italiana. Era così in passato, come sa chi ricorda le ondate emotive suscitate dal rapporto con la Cuba di Castro. A maggior ragione, è vero oggi. Poi esistono precise contraddizioni. La principale riguarda la crisi in cui si trova l’Europa a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. Sono note le affermazioni di Lula, secondo cui “Zelensky voleva la guerra”. Mentre Putin merita comprensione, in quanto da troppe parti “si genera odio” verso il presidente russo. Frasi inequivocabili, rese più aspre dalle critiche alla Nato e all’Unione.
Di nuovo si torna alla domanda: cosa può dare Lula alla sinistra occidentale, a parte aver battuto Bolsonaro? Il vicesegretario del Pd, Provenzano, sottolinea che il neopresidente “assomiglia a quello che dice e vince. Noi no, o non abbastanza. Qui è la chiave per l’alternativa”. In concreto, vuol dire che Lula può dare qualcosa: il senso di una possibile alternativa che abbraccia le politiche sociali e in fondo anche le scelte internazionali. Si coglie una critica implicite alle scelte pregresse di Enrico Letta, la sua chiusura ai Cinque Stelle, la linea atlantica senza cedimenti sull’Ucraina. In altri termini la vittoria brasiliana serve a individuare un terreno comune su cui può riconoscersi un’ampia opinione, desiderosa di ragionare, ma forse soprattutto di sognare. A questo mondo Letta, che appartiene sul piano culturale al riformismo europeo, non sembra avere granché da dire. Invece Conte e la sinistra del Pd si preparano alla manifestazione “per la pace” del 5 novembre.
Un appuntamento non privo di ambiguità proprio per quanto riguarda il giudizio sulle responsabilità della guerra e soprattutto su come uscirne.
Il 5 novembre può risolversi in un parziale spostamento del Pd verso le posizioni “pacifiste” che sono proprie delle varie sigle che scenderanno in piazza, a cominciare dai gruppi cattolici. S’intende che Conte non è Lula né ha alcuna possibilità di diventarlo.
Peraltro c’è un’altra figura della sinistra in Europa che si propone come modello di questa nuova alleanza. È il francese Mélenchon, nel cui cartello elettorale si sono già diluiti i socialisti d’oltralpe. In un certo senso è lui la variante continentale di Lula: non per governare, ma per rimescolare tutti i vecchi assetti.