La Stampa, 1 novembre 2022
Il Brasile verde
Alle cinque di domenica si sono chiuse le urne. Improvvisamente, tutta la città di San Paolo dove mi trovavo si è svuotata. Mai il clima era stato tanto teso. Mai tanta attesa per il risultato era stata così enfatizzata e partecipata. Vivere questa situazione dal quartier generale di Lula è stato doppiamente evocativo. Presenti: Mujica (ex presidente dell’Uruguay), Zapatero (ex presidente del governo spagnolo) e molti dirigenti progressisti latinoamericani. Visiva e consistente era senz’altro anche la partecipazione del Movimento Sem Terra, con il suo coordinatore nazionale João Paulo Rodrigues, che ha fatto anche parte del gruppo di coordinamento della campagna elettorale di Lula.
L’evoluzione dello spoglio è stata impressionante: si parte da meno dieci punti per Lula, non di proiezioni, ma di dati reali. Per poi arrivare a un sorpasso alle 18.45 ora locale (22.45 ora italiana), con oltre il 60% dei voti scrutinati.
Contestualmente al dato nazionale, emergevano due elementi molto forti, oggetto di continuo monitoraggio: la perdita del PT nello stato di San Paolo con un candidato di eccellenza come Fernando Haddad, e il sostanziale pareggio nello Stato di Minas Gerais – da sempre l’ago nella bilancia nelle elezioni federali – che si chiude con un minimo vantaggio di Lula (50 mila voti), non per i risultati conseguiti nella capitale dello stato Belo Horizonte, ma nelle zone rurali del Nord. Questo è uno degli elementi problematici anche nella lettura del futuro governo: c’è una spaccatura rilevante tra città, zone dove domina l’agroindustria (come nello Stato amazzonico di Mato Grosso), e le campagne abitate da contadini che praticano l’agricoltura famigliare. Questi ultimi soggetti sono stati protagonisti di una mobilitazione senza precedenti del mondo rurale per rivendicare un loro ruolo più rilevante che nei precedenti governi. Non bisogna dimenticare che durante i primi due mandati Lula accettò infatti compromessi non di poco conto con l’agribusiness e in favore dei transgenici. Durante questa campagna elettorale il leader del PT ha avuto invece modo di correggere il tiro, dichiarando fin dal primo momento che tutta la politica agricola e alimentare avrebbe seguito un altro percorso. Questo è stato ribadito anche durante il primo discorso da presidente eletto, quando ha ricordato che il 70% del cibo consumato in Brasile proviene dall’agricoltura familiare.
Alla fine il conteggio elettorale elettronico è stato in grado di esplicitare in maniera univoca e trasparente un risultato estremamente delicato in meno di tre ore: con il 98,81% delle urne esaminate, Lula viene proclamato vincitore con il 50,9% dei voti e con uno vantaggio di appena due milioni di elettori. Nella storia del Brasile non c’è mai stato un esito così ravvicinato.
A risultato confermato i brasiliani si sono riversati nelle strade. A San Paolo in meno di un’ora l’Avenida Paulista – luogo dove si celebrano tutti gli avvenimenti collettivi di festa più importanti – si è riempita di centinaia di migliaia di persone, in gran parte giovani che sentono di essere riusciti a liberarsi dell’ipoteca che gravava sul loro futuro, data dal rischio di un secondo mandato Bolsonaro. Qui canti e balli si mescolavano a pianti di gioia.
Certo è che navigare in queste acque contrastanti non sarà una passeggiata, però il risultato conseguito era la condizione preliminare più importante in questo momento storico. «Non sono mai esisti due Brasili. C’erano due progetti di Paese diversi. Ma siamo un unico popolo, un’unica grande nazione. E ora di ricostruire la comunità fatta a pezzi da una propaganda criminale», ha affermato Lula durante la prima conferenza stampa.
Mentre sto scrivendo, e sono passate oltre 20 ore dal risultato, Jair Bolsonaro non ha ancora rilasciato nessuna dichiarazione, neppure all’interno della sua compagine o a ringraziamento dei milioni di brasiliani che lo hanno votato. Un silenzio pesante, ma che non penso potrà misconoscere un risultato blindato da un sistema di spoglio che ha funzionato. Del resto il garante di tutto il processo elettorale Alexandre de Moraes (ministro del tribunale supremo federale), è un uomo di Bolsonaro. Anche il presidente della Camera Arthur Lira, preannunciando il primo discorso di Lula da neo eletto, ha ribadito l’importanza di difendere la pace nel Paese e rispettare il verdetto delle urne. Nel giro di poco dal risultato sono poi iniziate ad arrivare anche le congratulazioni e manifestazioni di supporto da tutte le cancellerie internazionali. Insomma: Lula è stato riconosciuto come neo presidente eletto.
Il vincitore ha esplicitato sin da subito la necessità di rimettere in discussione e rigenerare la dialettica politica in tutta l’America Latina, tornando a dare valore e autorevolezza a livello internazionale al Mercosur. D’altro canto la mancanza di un protagonista come il Brasile nella dialettica, comprensione e condivisione di un sistema geopolitico, come è il continente sudamericano, ha lasciato un grande vuoto. Un altro macigno da cui ci si è liberati con queste elezioni è la degenerazione dell’Amazzonia a causa di un sovrasfruttamento delle risorse naturali (deforestazione, inquinamento delle acque) senza precedenti. Anche su questo fronte non c’era altra alternativa di Lula: la logica predatoria del governo in carica fino a ieri è sotto gli occhi di tutti, essendo inoltre fonte di grande preoccupazione per l’intera comunità internazionale per il ruolo vitale che l’Amazzonia ha nel contrasto alla crisi climatica. Ci saranno tutte le difficoltà a governare, ma l’aver messo in sicurezza l’Amazzonia non è cosa di poco conto. E non è da poco neanche rispetto alla dignità di quella umanità che vive in questo straordinario ecosistema, e che negli ultimi anni è passata ad un livello di vita miserabile.
Ribadisco che non sarà semplice navigare in una situazione di interessi divergenti, anche perché una gran parte dei voti di Bolsonaro non rappresentano affatto l’estrema destra, bensì si tratta di una componente moderata che ricopre ruoli non trascurabili dal punto di vista produttivo e sociale. Lula non potrà tradire l’accordo fatto con il Movimento Sem Terra e il mondo che in esso si identifica, ma allo stesso tempo non gli sarà possibile esimersi dal costruire un dialogo anche con loro.
A conti fatti l’elezione di ieri ha registrato il numero più alto di partecipanti nella storia del voto brasiliano. Per la prima volta il presidente in carica non è stato rieletto. E dopo 19 mesi di prigione, e a 20 anni dal primo mandato, Lula diventa presidente per la terza volta. Nella storia del Paese non era mai successo che un presidente scelto democraticamente ricoprisse tre mandati. In questo momento ritengo però importante ribadire anche un altro elemento: l’impeachment del 2016 nei confronti dell’allora presidente Dilma è stata una carognata. Non solo perché non c’erano prove a cui appigliarsi, ma anche perché non basta una maggioranza parlamentare per imporre un impeachment. Il fatto che Lula e il PT non abbiano mai fatto un passo indietro nel definire ciò che è stato fatto come un golpe è significativo. E proprio di questo golpe la vittima non ancora risarcita è Dilma. Mentre ieri per Lula è stata fatta giustizia.
Le vicende di vita di quest’uomo rimarranno nella storia. Sono solo due milioni i voti di differenza che gli hanno consentito di vincere, ma sono oltre 60 milioni, i brasiliani che lo hanno votato. Nel mio Piemonte si dice: «Nusgnùr a paga tard ma a paga larg» (Nostro Signore paga in ritardo, ma paga in abbondanza). È una vittoria difficile. Però è vittoria. Il Brasile è un Paese libero. E l’Amazzonia può continuare a vivere. Per come si presentano le difficoltà di questo nuovo quadro politico c’è tempo domani per parlarne. —