la Repubblica, 1 novembre 2022
Gli ultrà dietro la morte di Boiocchi
MILANO – Sarà questione di balaustre e labari. Inutile, però, pensare a vicende di massoneria o a rigurgiti di neofascismo, che pure non mancano. I nuovi equilibri della Curva Nord interista, all’indomani dell’omicidio del leader Vittorio Boiocchi, voleranno più basso: un’occhiata alla balaustra del secondo anello verde, alla prossima partita casalinga, servirà a capire in quanto tempo, e da chi, sarà riempito il vuoto lasciato dallo “Zio”. Che al Meazza, fisicamente, non era più presente da quando la sezione Misure di prevenzione del Tribunale gli aveva affibbiato due anni e mezzo di sorveglianza speciale.Ma Boiocchi, tra le gradinate, contava. E pesava soprattutto fuori, quando bisognava decidere chi poteva rivendere i biglietti, e la Nord ne aveva un pacchetto di duemila per volta. Chi avrebbe incassato i soldi dei parcheggi, quale camioncino venduto più salamelle, quanto “fumo” sarebbe girato tra un coro e l’altro.Vittorio Boiocchi comandava su questi affari dalla sua scarcerazione, nel 2018, e con il piglio del duro. Spazzando via senza chiedere il permesso il vecchio direttivo, travolto dalla morte di Dede Belardinelli prima di Inter-Napoli, il 26 dicembre di quattro anni fa. E reinsediando un esecutivo di “vecchi”, tutti sottoposti e soggetti alla sua legge, da Franchino Caravita e Renatone Bosetti, da Andrea “Berro” Beretta – ascoltato ieri dagli investigatori della Squadra mobile – a Nino Ciccarelli fino a Giacomo Pedrazzoli. Lo “Zio” era ingombrante. Non cedeva il suo scettro, non mollava i suoi soldi. Per questo, i funerali che verranno celebrati dopo l’autopsia saranno un altro modo per censire striscioni e stendardi, per capire se la curva ne farà un santino, come capitò al laziale Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, o se lo consegnerà in fretta all’oblio. E ricomincerà a spartire.Funzionava così. I biglietti, certo. Da smazzare ai fedelissimi, agli Inter Club, agli amici, naturalmente con un ricarico. C’era Franchino Caravita a occuparsene una volta, il picchiatore Beretta – arrestato due volte in tre anni, per scontri con i milanisti al derby e per il pestaggio di un bagarino non “autorizzato” prima di un Inter-Liverpool – e Bosetti, la mente politica (in quota CasaPound) e finanziaria del gruppo. C’era una volta tra gli intimi di Boiocchi, racconta “radio curva”, anche Carlo Fidanza, all’epoca consigliere regionale di FdI ormai lontano da San Siro e dal partito, dopo l’inchiesta sui finanziamenti illeciti e la contiguità con i camerati del “barone nero” Roberto Jonghi Lavarini. Ma i soldi per le partite si facevano pure cedendo le tessere dei daspati per le partite di cartello, facendo “stornellare” per cento euro chi ne faceva richiesta, o offrendo a trenta euro una “doppietta” (due ingressi con un biglietto) per le partite meno pregiate, strizzando l’occhio a steward compiacenti. Il business si arricchiva con i food truck, un settore dove era scontato venire a patti con le ‘ndrine storicamente interessate al settore (i Pompeo di Bruzzano, ad esempio), ma anche con i singoli operatori: portare trecento curvaioli a prendere panini e birre, e farsi ridare una percentuale sull’incasso, in modo da guadagnarci tutti.Più delicato è il settore dei parcheggi fuori dal Meazza. Anche lì, Vittorio Boiocchi teneva un piede e mezzo, sfruttando il suo pedigree criminale di rapinatore e narcotrafficante, di estorsore che conosceva le armi e aveva trafficato – dagli anni Ottanta ai Venti – con i siciliani Fidanzati, i calabresi Di Marco e Facchineri, i padovani di Felice Maniero, i pugliesi Canito. E sempre da pari. Referenze necessarie per guadagnarsi la fetta di una torta che ingolosisce non soltanto i curvaioli, interisti o milanisti senza differenze.“Radio curva” soffia nomi non sempre approdati in inchieste della Dda, ma comunque di peso, dagli Iamonte di Melito Porto Salvo ai grossi broker di droga della Barona, il grande hub della cocaina e dell’hashish a sud-ovest di Milano. Trattare con certa gente è un conto. Volersi imporre, o non arretrare alle richieste di farsi da parte, è un altro. E lo “Zio” Vittorio Boiocchi (o il “Borlotto”, un altro dei suoi soprannomi) non intendeva cedere di un millimetro, nonostante la barba si fosse ormai imbiancata e i mugugni per i suoi modi “da anni 80” si fossero moltiplicati. Così come le antipatie catalizzate per la sua opera di recuperatore di crediti prestata a terzi, come il faccendiere milanese Ivan Turola. Da quell’ultimo arresto del marzo 2021 ai due killer fuggiti in moto l’altra sera manca l’ultimo capitolo del romanzo criminale.