Corriere della Sera, 1 novembre 2022
Putin usa l’arma dell’inflazione, ma è mezzo spuntata
Vladimir Putin è sotto accusa per aver sospeso gli accordi di export del grano dai porti ucraini: il dittatore aumenta il rischio di crisi alimentari nei Paesi poveri. C’è del vero in quest’analisi, ma essa non spiega gli obiettivi di Putin. Perché il suo bersaglio non sono le economie subsahariane, ma noi. Noi in Europa e in Italia, dove il Cremlino spera di alimentare ancora un’inflazione che diffonda una rivolta contro le sanzioni alla Russia e costringa i governi a ritirarle (o a chiedere a Kiev di fermare gli attacchi alla flotta russa nel Mar Nero).
Se Putin blocca l’export di gas o del grano, è per questo. «Political Capital», un centro studi, documenta come in troll digitali russi attivi in Europa (e in Italia) puntino proprio sul malcontento per gli aumenti dei prezzi. Ma, malgrado l’inflazione a doppia cifra di oggi, non è affatto detto che questa tattica funzioni ancora nei prossimi mesi. Il dittatore lo sente, e agisce in modo sempre più impulsivo. Al taglio quasi totale delle forniture di gas l’Europa ha risposto meglio di come il Cremlino pensasse: gli stoccaggi sono pieni e i prezzi – benché alti – sono in calo da mesi a livelli che presto non alimenteranno più nuova inflazione. Anche il prezzo globale del grano oggi è ai livelli di un anno fa e non è rincarato molto neanche ieri dopo il blocco dell’accordo. Alcuni grandi compratori di derrate ucraine – Turchia, Arabia Saudita, Algeria – si aspettavano una nuova paralisi dei porti e avevano già comprato mezzo milione di tonnellate supplementari. La strategia di Putin di far salire l’inflazione in Europa non funziona più come prima. Il dittatore si sente in un angolo e sceglie mosse sempre più disperate. Quella del grano è già fallita, al punto che Putin fa capire di essere pronto a riaprire il corridoio dell’export se Kiev non lo userà per nuovi attacchi alla sua flotta. Siamo nella fase più pericolosa e, forse, decisiva.