il Giornale, 31 ottobre 2022
Ritratto al veleno di Corrado Formigli
L’informazione – più o meno – si divide da un parte nel watchdog journalism, cioè la sorveglianza anglosassone della democrazia, e dall’altra nell’essere il cane da guardia del Pd, che è un po’ il concetto kulturale del centrosocialaro benestante, insomma Zerocalcare, i libri delle Murgie, gli articoli sciattini – scarpe basse e autocoscienza altissima – di Chiara Valerio, gli outfit proletari ma chic dei cantanti-influencer, l’intrattenimento di lotta e di Propaganda Live, tweet pelosetti di Luca Bottura e tutta la televisione della Sinistra da talk show – Rai3, 4K e La7 – lì dove brilla il giornalista da bar e di babordo, «Avanti tutta, compagni!», Corrado Formigli. Una delle poche cose televisive che dà fastidio anche senza volume.
Volubile, vanitoso, irascibile, oleoso (arrogante si può dire o è diffamazione?), poco ironico di suo e sorrisini corrivi per gli altri, indisponente – persino più del suo ospite Stefano Massini, e ce ne vuole – pronto a tutto pur di aggredire la destra, fanatico della sinistra, centrale nel racconto televisivo che confonde il giornalismo, che è un’altra cosa, e la militanza politica, la sua; Corrado Formigli, va ammesso, ha avuto una straordinaria carriera. Che inizia come erede di Santoro e finisce sfidando al giovedì sera Ilaria D’Amico. Cosa c’è di nuovo?
Nulla, la formula è quella: parlare dei fatti del giorno, ospitando a costo zero, per via della oculata gestione economica di Urbano Cairo, ospiti vari, sempre quelli, facendo un po’ polemica, un po’ informazione, un po’ lotta partigiana coi paraocchi («Io non sono ideologico!») e un po’ spettacolo. Involtini, piddini, Orsini. Si chiama talk show.
Lo show personalissimo di Corrado Formigli toscanissimo nato per sbaglio a Napoli (ma rivendicando l’anima scugnizza), bandiera rossa e cuore Viola, «Firenze è la mia città», il lampredottaio di Sant’Ambrogio, la mousse di baccalà e pomodori del «Cibrèo» e la meravigliosa tenuta di famiglia a Fiesole: è la famosa gauche alla fiorentina inizia a Paese Sera, continua nella redazione del Manifesto, poi la Rai, quindi il passaggio obbligato per tutti i più feroci antiberlusconiani a Mediaset (e sono gli ultimi anni Novanta di Moby Dick), poi il ritorno da Mamma Rai nelle trasmissioni santoriane Circus, Il raggio verde e Sciuscià un’altra gavetta alla neonata Sky dove conduce il talk politico intitolato, sai la fantasia, Controcorrente, che era visto un po’ da pochini; e infine, dal 2011, la conduzione su La7 del suo programma, Piazzapulita. «Sweep up the square» come dice il Guardian. Un talk che è il santorismo al suo meglio e l’obiettività al suo peggio, dove il contenuto è sempre ottimo, ma la formigli non sempre elegantissima.
To be Formigli. Cordiale è cordiale: amabile per una chiacchierata; ma come dicono quelli che ci chiamano boomers: «Se la crede parecchio» (sinonimo: presuntuoso). Molto esigente professionalmente: ed è un bene. Ossessionato dai fascisti (Santoro una volta ha ricordato che ai tempi di Annozero «Mentre io attaccavo Berlusconi, Corrado già soffriva la giovane Meloni che lo offese dandogli del fazioso comunista», e figurati adesso...). Campione nel fare politica nascondendosi dietro il giornalismo. Detto il Conducator di Pescia Fiorentina perché di fronte a chi non abbassa la testa lui alza la voce («Molto democraticamente, essendo mio il programma, decido io chi può replicare»). Specializzato in interviste in carrozza. Autoironia zero e media dello share fra il 5,5 e il 6,5 per cento, sufficienza tirata. Ed è un peccato perché al netto della scivolosa gestione televisiva della pandemia (le verdure alla griglia del ristorante cinese in studio, il desiderio di rastrellare i locali romani a caccia di green pass, l’idea di usare gli operatori di call center per convincere la gente a vaccinarsi...), Piazzapulita con tutti quei servizi, le inchieste e i reportage coraggiosi (i suoi, con l’elmetto: niente da dire, molto bravo), è più ricca di molte altre trasmissioni. Perché allora, si chiede la gente della tv, Formigli continua a veleggiare tra Non è l’arena, che abbassa il livello della rete, e Otto e mezzo, una fighetteria che lo alza? Sarà per la sua antipatia percepita? Populismo, «saputezza» e Toskana-Fraktion.
Camicia bianca, look froissée, anelli, indice sul labro e autoreferenzialità, Corrado Formigli è il conduttore Unico delle Coscienze, il fratello minore della famiglia formigliesca dei Lerner, le Gruber, i Fazio e tutti quelli che da anni giocano al Giornalista Collettivo che pensa e parla per tutti, il Tribuno politico, Saturno ma contro: il figlio che divora il padre. L’attacco televisivo al cuore del santorismo.
Cuore freddo, testa calda, passione sfrenata per le moto (troppe multe, Corrado...), due matrimoni, seconda moglie giornalista – Stella Prudente, un passo sempre indietro – tre figli, 54 anni, maniaco della privacy (la propria), poco social e molto Salonkommunist, sontuosa casa romana terrazzata, Rione Prati, e tutte le estati a Capalbio, fra gli ombrelloni di Barbara Palombelli e Furio Colombo, «Ultima spiaggia» e sempre il primo della classe. Su Formigli non c’è moltissimo da dire. Ma qualcosa da ricordare. Esempi.
Quando era il petulante cronista di Annozero e Ignazio La Russa lo allontanò a pedate, con aria indifferente, scalciandolo come fanno i muli indispettiti dai mosconi, e lui si sentì eroe, un martire onusto di medaglie.
Quando Guia Soncini sul Foglio gli dedicava messaggi in forma di articoli sognando di grattugiare i suoi zigomi sul brodo dei tortellini.
Quando, una sera in trasmissione, tal Simone, romano di Casal Bruciato, il quartiere in cui era scoppiata una rivolta contro l’assegnazione delle case popolari agli zingari, sentenziò «I rom sono diversi, non sono uguali a noi. Insegnano ai figli a fare cose che noi non insegneremmo mai», strappando l’applauso di tutto lo studio, che sembrava di essere a Pontida, e Formigli, trasecolando, tradito dal pubblico addestrato, prese le distanze: «Mi dissocio dall’applauso. È un gesto che mi fa paura». La democrazia diretta che irrompe nel piccolo schermo e infrange il tetto di cristallo del politicamente corretto. Il giorno dopo qualcuno corse a farsi fare una maglietta con scritto sopra «Je suis un peu rom».
Poi quando attaccò in diretta tv Matteo Renzi su una storia di prestiti per la casa; e i social gli restituirono la cortesia pubblicando foto e planimetrie del suo mega-attico – «Squadrismo!» – così il Foglio ci imbastì un tormentone per giorni, tra cene, piscine, gli storioni nell’acquario, fino a svelare, in cima allo scalone imperiale, una targa in oro di due metri per due: «Io, Formigli, giornalista».
E poi la volta che Beppe Grillo, in una manifestazione di piazza, dentro Piazzapulita, attraverso il cameraman di La7 urlò al conduttore: «Vermigli perché non fai un servizio sulla tua televisione? L’ha comprata un certo Cairo, ex socio di Berlusconi, in pratica lavori per il Cavaliere». Vermigli, lo chiamò.
«O figlio, figlio, figlio!/ Figlio, amoroso giglio,/ figlio, chi dà consiglio/ al cor mio angustiato?/ Figlio bianco e vermiglio,/ figlio senza simiglio/ figlio a chi m’appiglio?».
Ma appigliati al...
Perché alla fine, sì, giusto, la domanda è: «Michele chi?». Ma soprattutto: Formigli, perché?