Corriere della Sera, 31 ottobre 2022
Chi era Vittorio Boiocchi
Chi ha ucciso Boiocchi aveva fretta. E forse l’esecuzione a poche ore dall’inizio di Inter-Sampdoria, più che un messaggio al mondo ultrà è un indizio. Quello di un piano organizzato rapidamente, approfittando del fatto che sabato sera Boiocchi sarebbe rientrato a casa prima del match come le prescrizioni della sorveglianza speciale gli ordinavano. Era stato fino alle 19.30 al Baretto, storico covo della Nord alle spalle del Meazza. Poi un amico lo aveva accompagnato in scooter in via Zanzottera a Figino – a 4,5 chilometri – e appena è ripartito, i killer sono entrati in azione. Due uomini con caschi integrali e giubbotti scuri appostati con una moto di grossa cilindrata in una via laterale.
Quando s’è avviato solo verso il vialetto di casa gli spari: 5 proiettili calibro 9x21, pallottole di fabbricazione slava, almeno due colpi a segno. Una ferita passante al fianco, forse nel tentativo di fuggire, e un colpo ravvicinato al collo che non gli ha lasciato scampo. Gli investigatori della squadra Mobile, diretti da Marco Calì e coordinati dal pm Paolo Storari, stanno cercando di ricostruire il percorso dei killer attraverso le telecamere intorno a Figino. Un lavoro certosino nella certezza che gli assassini hanno lasciato una traccia del loro passaggio.
Boiocchi era un bersaglio facile, abitudinario. Tanto che non sarebbe stato neppure necessario aspettare il giorno della partita per colpirlo solo e disarmato. Uccidere di sabato sera con la zona ovest di Milano piena di polizia impegnata per il servizio di ordine pubblico allo stadio, e il rischio nel pieno dell’afflusso dei tifosi di restare bloccati nel traffico o peggio nei controlli, fa pensare a una rapida accelerazione al piano dei killer. Forse chi ha ucciso non poteva lasciare a Boiocchi il vantaggio della prossima mossa.
Boiocchi era un nome pesante nel panorama della malavita: 26 anni di carcere, dieci condanne e contatti con uomini della ‘ndrangheta (clan Facchineri) della mafia siciliana (i Fidanzati) e la malavita pugliese (i Canito-Magrini). Era entrato in carcere sul finire degli anni Novanta. È uscito nel 2018. Nel frattempo il mondo della mala milanese è cambiato, s’è fatto più «mafioso», meno violento e più «raffinato» e imprenditoriale. Lui però una volta uscito non sembrava non essersi adattato ai tempi cambiati.
Anche la sua ascesa in curva era stata violenta con il pestaggio allo storico capo ultrà Franchino Caravita. E la sua gestione della Nord aveva ormai portato a una frattura insanabile. Tanto che il direttivo, da lui stesso nominato, è diviso in due: i vecchi (Nino Ciccarelli e Renato Bosetti) con «lo Zio», come era soprannominato, e i giovani contrari ai suoi metodi da padrino: poco stadio tanto business. Dicono che chiedesse soldi di continuo, che si lamentasse per gli affari troppo magri dello stadio: «Possibile che abbiamo in mano una curva e mangiamo così poco?». Per questo pare aveva iniziato a taglieggiare parcheggiatori e paninari: «Loro lavorano grazie a noi». Una circostanza confermata da un’intercettazione captata dalla polizia durante le indagini: «Faccio 80 mila euro al mese tra parcheggi e altre cose, 10 mila euro a partita».
Roba da mafiosi, controllo di affari e territorio. Che molti in curva non avevano condiviso, anche se Boiocchi restava capo temuto e rispettato. Ieri la Nord gli ha dedicato solo poche righe sui social. «In questi interminabili attimi di buio e dolore è solo tempo di silenzio».
Per gli inquirenti la pista ultrà è molto remota. Anche perché il 69enne si muoveva ormai in più campi: dalle estorsioni al piccolo traffico di droga, dalla mala ai contatti con i clan calabresi della ‘ndrangheta. Chi ha sparato, a Boiocchi, secondo gli inquirenti, vive nel milieu criminale e ha avuto un motivo preciso per uccidere. Anche se potrebbe aver fatto un favore, indiretto, a molti.