la Repubblica, 31 ottobre 2022
Gli italiani non hanno più i soldi per far studiare i figli
Maria Catena, pur di assicurare il futuro delle sue ragazze, ha ceduto il quinto dello stipendio. Giuseppe, invece, ha dovuto chiedere a suo figlio Marco di rinunciare a quell’università che era il sogno della sua vita e per cui aveva studiato tutta l’estate superando i test d’ingresso. Sandro ringrazia il cielo che Alice, appena laureatasi in Inghilterra e con l’intenzione di restarci, nel frattempo ha deciso di tornare a casa cercando lavoro da remoto. Leopoldo e Paulo, invece, pur di rimanere a studiare a Bologna – dove trovare un alloggio a prezzi non stellari è impresa quasi impossibile – si sono adattati a vivere in una casa occupata: tre in una stanza e materassi per terra.
Sono storie di pesanti sacrifici e dolorose rinunce, di vite fino a qualche tempo fa serene precipitate rapidamente nel girone dei penultimi, di sogni infranti sugli scogli della sopravvivenza, ma anche di rabbia e voglia di spuntarla a ogni costo. Sono le storie di famiglie del cosiddetto ceto medio, mono ma anche bireddito, per intenderci ben al di sopra di quella soglia di povertà che costringe a fare i conti con cosa mettere a tavola, ma che adesso – schiacciate dai costi delle bollette, degli affitti, dal caroprezzi – si ritrovano davanti a un bivio mai immaginato fino a poco tempo fa: stringere la cinghia fino a indebitarsi e a rinunciare a tutto pur di dare ai figli la possibilità di studiare fuori, in Italia o all’estero, in una università in grado di garantire loro un futuro più facile. O, piuttosto, alzare bandiera bianca e farli tornare a casa. E sono le storie di ragazzi che – consapevoli delle difficoltà economiche dei genitori – si adattano a una dura vita da fuorisede, dormendo in alloggi di fortuna, e accollandosi anche due o tre lavoretti serali o part-time pur di non rinunciare al loro progetto.
Studiare fuori costa troppo
Non è certo un caso che, dopo 5 anni di continua salita e dopo due anni di pandemia, il numero delle immatricolazioni all’Università sia sceso del 3 %. Il ritorno delle lezioni in presenza e l’aumento severo del prezzo degli affitti, delle bollette e dei trasporti, ha indotto migliaia di giovani a rinunciare ad iscriversi. E calano più sensibilmente i fuori sede. Dei circa 1,7 milioni di universitari italiani, coloro che si trasferiscono studiare altrove sono adesso meno di 500.000, circa 100.000 in meno rispetto all’ultima rilevazione ufficiale del 2018. A rinunciare sono soprattutto le matricole, chi si iscrive in un altro ateneo lo cerca il più vicino possibile a casa. Troppo poche e troppo basse le borse di studio, assolutamente insufficienti ( appena 40.000) i posti negli studentati pubblici che dovrebbero diventare 100.000 nel 2026 grazie al Pnrr. E chi vuole proprio andar fuori, sceglie la via intermedia: triennale a casa, specialistica o master fuori.
La cessione del quinto«Ah no, la spesa no». Nella sua cucina a Patti, in provincia di Messina, Maria Catena Cassarà, 61 anni, impiegata regionale, rimprovera con il sorriso la più grande delle sue figlie, che ha deciso di rientrare in Sicilia dopo la laurea all’Università del Sussex e che – con disinvoltura – passa a trovarla di ritorno dal supermercato lasciandole una busta della spesa sul tavolo. «Ho tre figlie, Valentina, Giulia e Gloria, e per farle studiare tutte all’estero ho venduto due case. Poi mio marito, che era nel settore delle assicurazioni, ha perso l’impiego e io ho deciso di fare la cessione del quinto dello stipendio pur di continuare a permettere loro di costruirsi il futuro che sognano. Lavoro otto ore al giorno al servizio Turismo della Regione siciliana e la mia busta paga è di 1.300 euro. L’ultima bolletta della luce arrivata era più di 200 euro, ed era ancora estate. Il forno non si accende più, di vacanze non se ne parla proprio, per fortuna stiamo sul mare e viviamo in una casa di proprietà. E appena la più piccola avrà finito il master in Economia, spero possa trovare subito lavoro. L’investimento sui figli è l’ultima cosa a cui rinuncerei».
Il Dams e il sogno svanito
Giuseppe Melia, infermiere all’ospedale di Mazara del Vallo, dove lavora anche la moglie, ancora piange quando racconta di «uno dei giorni più brutti della mia vita, quando ho dovuto dire a Marco: “Figlio mio, hai visto, abbiamo provato di tutto, non c’è nulla alla nostra portata, io e tua madre non possiamo permetterci di mantenerti a Bologna con questi prezzi”». Il Dams a Bologna, il sogno di Marco, l’artista di famiglia, la passione per la pittura che esprime su tela, nei murales con cui colora la sua città. Aveva studiato sodo già prima della maturità per ottenere l’accesso all’università. E ce l’aveva fatta. Mai e poi mai avrebbe pensato didover abbandonare per l’impossibilità di trovare un alloggio dignitoso ma sostenibile per il bilancio di una famiglia comunque a doppio reddito. «Sono partito con mio figlio per Bologna, ci siamo rivolti a tutti, conoscenti, agenzie immobi-liari, gruppi universitari, social maabbiamo trovato solo richieste folli, 5-600 euro per un posto letto in una tripla o in una cantina, truffe, fidejussioni, letti in subaffitto. Un giorno Marco ha risposto a un annuncio in cui si chiedeva l’altezza perché si trattava di un materasso in una soffitta alta un metro e 65 centimetri. Noi con un Isee sopra i 22.000 euro non avevamo i requisiti per il bando per gli alloggi negli studentati pubblici. Incredibile che una città universitaria come Bologna non sia in grado di fornire un’offerta accettabile. Io ho un altro figlio che studia in un college negli Stati Uniti e con 600 euro al mese ha corso di studio, stanza, sport, assistenza. A Bologna, complessivamente, avremmo speso almeno il doppio». Alla fine Marco ha ritirato la domanda di iscrizione al Dams e se n’è tornato a casa depresso anche perché ormai era troppo tardi per iscriversi a Palermo. «È rimasto chiuso nella sua stanza per giorni – rivela il padre – Gli ho proposto di prendersi un anno sabbatico e riprovare, ma per me è stata la cosa più dura che ho dovuto chiedergli».Fuorisede nelle case occupate
Sei stanze condivise, al momento ci abitano in 15 ma ci si può stringere ancora. Una grande cucina con un tavolo comune, una sala per incontrarsi. Un alloggio di fortuna quello recuperato a “Casa vacante”, palazzina disabitata di proprietà del Comune, in pieno centro a due passi dalle facoltà universitarie, dentro le mura dove per trovare un letto qualsiasi (che comunque non trovi) ci vogliono almeno 5-600 euro. Ma i materassi per terra, le sedie che fungono da armadio e libreria, il bagno condiviso sono l’unica soluzione che Leopoldo, Paulo, Luca hanno trovato per continuare a frequentare le facoltà dell’Alma Mater a cui si sono iscritti. «E non è poi così male, io ho pure il rialzo sotto il materasso e la gente del quartiere qui ci ha accolto con grande simpatia e ci ha aiutato ad arredare in qualche modo la casa, ci aiutano persino a fare la spesa», racconta Leopoldo, 19 anni, matricola di Economia. «Mio padre fa il falegname e piccoli lavoretti artigianali, non ha uno stipendio fisso, mia madre è disoccupata. Ho cominciato a cercare casa a maggio, ho visto solo cose proibitive, niente meno di 5-700 euro oppure solo affitti brevi a 50-60 euro a notte per un divano. Capisco ti chiedessero 10 euro a notte, ma perché dovrei stare a casa di un altro su un divano per 50 euro al giorno? Io sono di Firenze, potrei fare il pendolare, è vero. E l’ho fatto per due, tre settimane: flixbus o treno, sveglia alle 5 per essere a lezione alle 8, 250 euro al mese di trasporti. Poi hanno occupato “Casa vacante” e ho deciso di stare qui, occupare alla fine ha anche il suo valore politico».
La concorrenza degli Airbnb
A “Casa vacante” è venuto a vivere anche Luca Torini, 21 anni, di Padova iscritto a Scienze politiche. Insieme a Tiziano Ghidelli, è il “politico” del gruppo, volto del collettivo Luna. «Il tema della casa equivale al tema della rinuncia e al diritto di restare. Bologna si va livellando sugli studentati privati di lusso, dagli 800 ai 1.000 euro. La città così viene appaltata ai privati che decidono chi può rimanere a studiare qui e chi no. C’è un processo di espulsione degli studenti, un’interruzione di contratti di affitto precedenti e di sfratti. Tanti ragazzi, anche figli di famiglie con due redditi, non hanno più diritto di cittadinanza in quella che era una città universitaria per eccellenza e oggi conta 4.000 appartamenti su Airbnb».Doppio impiego più le lezioni
E poi c’è Paola, 21 anni, di Cosenza. «Niente foto e niente cognome – è la premessa della studentessa – perché i miei giù in Calabria non lo sanno. Loro hanno un piccolo bar e le bollette li stanno mandando in rovina. Non riescono a darmi più di 200 euro al mese e io con la borsa di studio di 5.200 euro all’anno adesso non riesco neanche più a pagarmi l’alloggio. Il proprietario ha rescisso il contratto e ci ha chiesto un aumento di 150 euro a testa, avrei dovuto pagare 600 euro per un letto in doppia in periferia. Più il costo dei mezzi e quello che serve a sopravvivere qui, impossibile. Ho trovato una tripla fuori Milano a 500 euro e ho preso due lavori: il pomeriggio faccio la babysitter e cerco di studiare sperando che il bimbo dorma. E la sera, dal giovedi alla domenica, faccio la cameriera in un locale. Solo che vado a letto a notte fonda e ho paura con questi ritmi di rallentare la scadenza degli esami. E non posso permettermi di perdere la borsa di studio». Paola vuole diventare interprete. «E, ci potete scommettere, ci riuscirò».